Roma, magnifico teatro del barocco
Roma alla fine del XVI secolo doveva apparire come un grande cantiere abbandonato, una scena in allestimento da decenni e mai completata, un magnifico teatro in decadenza. La stagione dei fasti rinascimentali aveva avuto vita breve nell'Urbe e bruscamente arrestata da diversi fattori: dallo scisma protestante all'avvento di occupanti stranieri, culminato con il Sacco dei lanzichenecchi di Carlo V che nel 1527 avevano devastato la città e la sede di Pietro.
Ovunque erano visibili, come splendide incompiute dimenticate, le testimonianze del rinnovamento artistico e architettonico che avevano caratterizzato l'umanesimo di fine'400 e il principio del secolo successivo. Un esempio particolarmente emblematico era costituito dalla imponente “fabbrica di San Pietro” e dalla grande cupola michelangiolesca, mirabile esempio di quella rinascenza cinquecentesca, innestata sul corpo ancora medioevale della basilica.
Con la Riforma luterana la cattolicità era stata colpita al cuore nelle sue manifestazioni più vistose, attaccati i cerimoniali splendidi della Curia le commistioni di sacro e di profano che avevano fatto della sede dei pontefici una corte mondana, e della città una classica scena, dove feste e ludi dell'antichità erano parsi risuscitare.
I dettami del Concilio di Trento, in risposta alla contestazione protestante, erano improntati a promuovere una severa Controriforma che riportasse la Chiesa cattolica ad una sobrietà e un pauperismo originari: furono ridotti al minimo gli apparati esteriori delle cerimonie, il fasto dei luoghi e degli arredi di culto e soprattutto la pompa delle celebrazioni e delle feste, individuate come temibile negotium diaboli.
In questa fase Roma perde il suo ruolo protagonista, eclissata dalla Milano di Carlo Borromeo, personalità simbolo della Controriforma in Italia, per poi riconquistarlo solo alla fine del'500 con l'avvento di Sisto V (1584-1590) e il rilancio di una cattolicità papalina e accentratrice. Si riaprono antichi cantieri, se ne creano di nuovi, si incide nel profondo della struttura urbana per ridisegnare una 'Città di Dio' degna di promuovere i fasti della renovatio christiana.
Non è possibile comprendere la magnifica fioritura della arti che conobbe Roma nei primi decenni del XVII secolo, l'esplosione di individualità geniali e di movimenti in una concentrazione mai vista prima e mai ripetutasi nella storia, senza tener conto di questa involuzione e dello stato di decadenza e di abbandono in cui versava tristemente la città.
Possiamo a ben ragione parlare di un Secondo Rinascimento Romano, che reagisce con vigore a quella crisi, assume il progetto riformatore tridentino quale fattore di espansione, coagula intorno alla nuova immagine della città le principali istanze religiose e culturali, fonda gli stilemi estetici e i procedimenti retorici che renderanno ampiamente riconoscibile una temperie barocca anche in ambito europeo.
Tutto l'arsenale celebrativo ed estetico proprio delle celebrazioni cattoliche, che era stato demonizzato dalla Controriforma, frammisto al gusto tipicamente italico per il teatro, la musica e il belcanto, viene non solo riscoperto ma potenziato, perfezionato, reso magnifico e imponente come strumento della rinascita della Chiesa di Roma e della conversione dei popoli.
La Roma cattolica e barocca diventa così pienamente erede della Roma classica e imperiale, riscoperta, valorizzata e santificata nei suoi fasti pagani: un fervore di studi, pubblicazioni e scavi riportano alla luce la magnificenza della città pagana, ma anche catacombe, cripte colme di reliquie e basiliche medioevali, testimonianza di quella purezza originaria che la Chiesa aveva inseguito con la Controriforma.
Viene rinnovato il sistema viario e, in una commistione di elementi sacri e profani, templi classici ed esotici obelischi, nascono insoliti snodi prospettici, scenografie che si dischiudono sugli stretti vicoli medioevali come le enormi e fastose scene di un teatro immaginario.
Il cantiere della Fabbrica di San Pietro riapre: la basilica viene rinnovata secondo il progetto di Carlo Maderno e completata con il colonnato del Bernini, assurto a simbolo della cristianità mondiale e di ogni tempo. Le famiglie cardinalizie fanno a gara ad accaparrarsi uno dei numerosi architetti che animano la Roma barocca per il restauro o la realizzazione delle loro residenze ma anche per la “coreografia” di eventi mondani e celebrazioni liturgiche che avrebbero dato maggior lustro e prestigio alle rispettive casate.
E' indubbio il valore che abbiano rivestito questi festeggiamenti e la loro raffinata progettazione nella costituzione di un'estetica barocca che ancora oggi è ben visibile a Roma e ne costituisce un tratto distintivo.
La festa barocca a Roma
Molte celebrazioni della Roma barocca nascono da una commistione di antiche ritualità classiche pagane con elementi cristiani: ne è un esempio il corteo per la cerimonia della Presa del Possesso del nuovo pontefice, il quale compie lo stesso tragitto degli imperatori trionfanti e vittoriosi. Attraversa la città da San Pietro a San Giovanni in Laterano fermandosi sul Campidoglio per ricevere il tributo dei senatori, con la consegna delle chiavi; il corteo culmina nella magnifica piazza michelangiolesca, perfetto palcoscenico sopraelevato e aperto su un lato, talvolta sormontato da un arco ligneo montato all'uopo.
Nei primi decenni del Seicento il percorso viene mutato e, pur mantenendo le sue tappe simboliche e tradizionali, viene a concludersi in Piazza Navona, più ampia ed adatta ad ospitare le folle, i tornei e le giostre. La piazza, che alla fine del'500 appariva come uno sterrato ovaleggiante, viene trasformata in uno dei simboli stessi della romanità dalla Fontana dei Fiumi di Gian Lorenzo Bernini e dalla facciata della Chiesa di Santa Cecilia di Francesco Borromini. Vicende mitiche e personaggi olimpici fanno così da sontuoso sfondo alla celebrazione del trionfo papale, in un tutt'uno armonico e apollineo.
Le principali basiliche antiche - San Paolo, San Giovanni, Santa Maria Maggiore subiscono poderose ristrutturazioni che le ampliano e le adattano ad ospitare gli imponenti apparti celebratvi ed architettonici della rinascita del fasto cattolico. Sulle scene del teatro di collegio promosso dai Gesuiti, nell'ambito del più significativo progetto pedagogico della Controriforma, opere come la tragedia Flavia o il Crispo del padre Bernardino Stefonio, rappresentati al Collegio Romano ai primi del Seicento, propongono le vicende di martiri cristiani nella Roma tardo-imperiale in forma di regolare tragedia con cori danzanti e in lingua latina.
Nuovo impulso viene dato alle celebrazioni dei santi e dei martiri, ai funerali di personalità illustri, ai cortei e alle processioni, che già dal XVI secolo erano caratterizzati da istallazioni temporanee di baldacchini e catafalchi ligeni: è proprio a questi ,realizzati però in forma permanente, che si ispirano gli architetti della Roma barocca, quando realizzano la “lanterna”di Sant'Ivo alla Sapienza o il baldacchino dell'altare maggior di San Pietro.
Roma Gran Teatro del Mondo è l'insegna frequente in questo tempo, a indicare la vocazione internazionale di questa 'scena' urbana: ogni potenza straniera dispone di una suona zona di “influenza”- ambasciate, palazzi, chiese nazionali-che occupa nelle occasioni speciali e attiva con apparati effimeri, concorrendo a una simbolica guerra fatta di giochi pirotecnici, istallazioni temporanee ed elementi scenografici.
Le 'machine' scenografiche
La fiorentissima industria romana dello spettacolo e della festa mette a disposizione le migliori maestranze artigianali da impiegare in tutti i settori dell'allestimento, insieme con i grandi artisti della stagione barocca.
Il teatro a Roma nella prima metà del Seicento era fiorito soprattutto nelle accademie di dilettanti, nei collegi, presso le piccole corti aristocratiche come quella dei Barberini e quelle delle ambasciate di Francia e di Spagna. Nella seconda metà del secolo, sono attivi in particolare i Pamphili, i Colonna, gli Ottoboni, nei teatri dei loro palazzi dove il melodramma trionfa. Lo spettacolo dilaga, con maschere e carri apparati, in tempo di carnevale per le strade e le piazze - in particolare sulla via del Corso - malgrado ripetuti tentativi da parte dei pontefici di arginare e regolamentare il fenomeno.
Un grande impulso al teatro a Roma si deve a Cristina di Svezia: protagonista della vita intellettuale della città, promuove e finanzia la prima istituzione teatrale pubblica dell'Urbe, il teatro TORDINONA, progettato da Carlo Fontana e realizzato nel 1671.
Moltissimi artisti prestano la loro opera come scenografi per teatri pubblici e privati, spesso riproponendo negli allestimenti elementi architettonici della realtà classica o contemporanea, abbattendo i confini tra il mondo reale e quello del palcoscenico: da quel momento l'architettura entrerà nel teatro e la scenografia diverrà parte integrante di numerosi scorci cittadini, che arriveranno a cambiare totalmente fisionomia, ad essere coperti o trasformati da istallazioni temporanee realizzate sul modello delle MACHINE tipiche dei “dietro le quinte”.
Pietro da Cortona, ad esempio, prestò la sua opera per affrescare la volta del salone centrale del palazzo Barberini e per la realizzazione delle scenografie del teatro interno alla dimora cardinalizia: è ricordata in numerose cronache dell'epoca la magnificenza del suo allestimento del dramma sacro per musica Sant'Alessio (1634) di Bruno Rospigliosi.
Tuttavia il più fantasmagorico e imponente apparato festivo che la Capitale ricordi è senza dubbio quello eretto a Trinità dei Monti, ancora priva della settecentesca scalinata, in occasione della nascita del Delfino di Francia, figlio di Luigi XIV e di Maria Teresa di Spagna. Regista della festa ed ideatore dell'apparato effimero fu Gian Lorenzo Bernini, che considerò sempre la realizzazione di istallazioni temporanee una parte integrante del progetto globale di rinnovamento dell'intera città, sia dal punto di vista urbanistico che decorativo. A lui venne delegata l’organizzazione dell’intera giornata festiva, lo spettacolo pirotecnico finale e, non ultima, la realizzazione grafica destinata a tramandare il ricordo di tanta magnificenza.
Piazza di Spagna venne completamente trasformata da una costruzione effimera che ricopriva la facciata della chiesa: sui campanili grandeggiavano la iniziali del re e della regina di Francia al di sotto delle quali era posto un delfino sovrastato da una gigantesca corona; più in basso era situata una nuvola, mediatrice tra gli elementi naturali dell’acqua, aria e terra, nel mezzo della quale una statua raffigurante la Discordia precipitava tra le fiamme.
Molti di questi elementi erano meccanizzati e si animavano tramite ingegnosi congegni mossi da argani, carrucole e in alcuni casi da apparati idrici: dalla montagna che sosteneva le insegne dei reali francesi scorrevano ruscelli veri ed erano stati impiantati alberi reali, da una grotta ricreata in vera roccia uscivano realmente fuoco e fiamme e numerosi personaggi in costume animavano la scena. La realizzazione di questa meraviglie richiese più di tre mesi di lavoro e fu distrutta il giorno stesso dei festeggiamenti, “crollando”coreograficamente sotto il tuonare dei fuochi pirotecnici che conclusero l'evento.
Altro festeggiamento, questa volta non unico ma reiteratosi più e più volte nell'Urbe durante tutto il '600 ed oltre, per il quale il Bernini mi se a disposizione il suo genio creativo fu la famosa Girandola di Castel Sant'Angelo.
Nell'anno 590 d.C.Roma fu flagellata da una terribile epidemia di peste: una notte un bagliore accecante squarciò il buio, illuminando l'allora Mole Adriana, oggi Castel Sant'angelo. La tradizione vuole che quello scintillìo fosse quello della spada dell'Arcangelo Gabriele che veniva rinfoderata: dalla mattina successiva il morbo scomparve dalla città.
In commemorazione di questo evento ed in concomitanza con i festeggiamenti per l'ascesa al soglio pontificio di Sisto IV nel 1481, nacque la tradizione di allestire un magnifico spettacolo pirotecnico sulla terrazza del castello.
Alla coreografia della Girandola contribuì tra gli altri Michelangelo Buonarroti, ma è la versione architettata dal Bernini quella che ha lasciato maggiormante il segno nella memoria dei milioni di spettatori che l'hanno ammirata, invariata, nei secoli.
In numerosi studi e bozzetti che l'architetto eseguì per preparare l'evento, è evidente la volontà di riprodurre la forza coreografica e l'impatto visivo di una eruzione vulcanica e lo stesso Bernini dichiarò a tal proposito di essersi ispirato allo Stromboli, che aveva avuto occasione di vedere attivo durante un viaggio.
La sua coreografia fu apprezzata a tal punto che si decise di riproporla più volte l'anno: a Pasqua, per l’incoronazione dei papi, per i loro compleanni, per l’arrivo dei principi e in occasione della festa dei Santi Patroni Pietro e Paolo. “Pare che tutte le stelle del cielo caschino in terra” così si dice in una cronaca dell' epoca parlando della Girandola allestita dal Bernini.
Ancora nell' 800 la stessa Girandola richiamava spettatori da tutto il mondo e veniva immortalata da artisti come Piranesi e Wright.
Il ruolo della musica nella festa barocca
Un elemento imprescindibile di tutte queste celebrazioni era la musica, che a Roma, all'inizio del '600 si articolava ancora attraverso forme e mezzi esecutivi di matrice rinascimentale: eseguita per lo più in ambiti ecclesiali o in palazzi gentilizi la musica strumentale non poteva essere considerata un genere autonomo, in favore delle polifonia sacra e del madrigale cinquecentesco, più fruibili e facilmente eseguibili anche da complessi non professionistici.
Le feste barocche hanno avuto in qualche misura il merito di prolungare la vitalità di queste più antiche forme d'arte e di favorire delle rielaborazioni delle stesse: è il caso della monodia, ovvero una linea vocale singola che si stacca dall'insieme polifonico per costituire una melodia autonoma.
Questo “esperimento”, che pone le basi per il futuro sviluppo del melodramma, fu tentato per la prima volta nell'anno 1600 proprio in una festa, all'interno dello spettacolo per i festeggiamenti di nozze di Maria dè Medici con Enrico IV re di Francia. Nel Teatro Mediceo degli Uffizi fu rappresentato “Il rapimento di Cefalo”, musicato da Giulio Caccini su testo di Gabriello Chiabrera: si tratta della prima opera interamente cantata da personaggi solisti.
Anche le tematiche delle coreografie e delle scenografie delle feste romane, spesso ispirate all'antichità classica, all'immaginario dell'Olimpo o dell'Arcadia, hanno incoraggiato i musicisti ad orientarsi su questi motivi che saranno poi caratterizzanti del melodramma di gusto italiano per tutto il XVII e il XVIII secolo.
La musica strumentale, da sempre relegata ad un ruolo secondario rispetto a quella vocale, ricevette nuovo impulso dalle esigenze delle grandi feste urbane, che richiedevano sonorità adeguate ad ampi spazi e a folle oceaniche. A questo scopo nasce forse una delle forme più tipiche del barocco musicale: il concerto grosso, che è contrassegnato da un piccolo gruppo d'archi chiamati concertino e da uno più ampio, in alternanza con quello o procedendo congiuntamente in un assieme. Costante presenza: il clavicembalo, a sostenere il gioco di entrambi gli organici e la loro base armonica (con il termine di basso continuo).
Tra coloro che portarono questa forma ai massimi gradi di raffinatezza, possiamo citare Arcangelo Corelli, che operò a Roma nell'ultima parte della sua vita e compose 12 concerti grossi, molti dei quali per occasioni specifiche, come quello “per la notte di Natale”.
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