martedì 17 gennaio 2012

Ludwing van Beethoven

Ludwig van Beethoven (pronuncia tedesca [ˈluːtvɪç van ˈbeːthoːfn̩]; Bonn, battezzato il 17 dicembre 1770 – Vienna, 26 marzo 1827) è stato un compositore e pianista tedesco. Figura cruciale della musica colta occidentale, fu l'ultimo rappresentante di rilievo del classicismo viennese ed è considerato uno dei più grandi compositori di tutti i tempi.
Nonostante i problemi di ipoacusia che lo afflissero prima ancora d'aver compiuto i trent'anni, egli continuò a comporre, condurre e suonare, anche quando poi divenne completamente sordo. Beethoven ha lasciato una produzione musicale fondamentale, straordinaria per la sua forza espressiva e capace di evocare una gran mutevolezza di emozioni[4]. Beethoven influenzò fortemente il linguaggio musicale del XIX secolo e oltre, tanto da rappresentare un modello per molti compositori. Crebbe in tal modo, nel periodo Romantico, il mito del Beethoven artista eroico, capace di trasmettere attraverso la sua opera ogni sua emozione, esperienza personale o sentimento[; ciò nonostante, la sua adesione alle regole dell'armonia nelle modulazioni e il rigetto dei cromatismi nelle melodie lo collocano nel solco della tradizione del Classicismo[ pur anticipando molti aspetti del futuro Romanticismo.
Nel vasto catalogo delle composizioni beethoveniane, grande rilievo hanno la sua produzione cameristica, quella sinfonica e le opere pianistiche.
La vita 

La Beethoven-Haus in Bonngasse 20, casa natale di Beethoven a Bonn.

Johann van Beethoven (1740-1792) e Maria Magdalena Keverich (1746-1787), il padre e la madre di Ludwig.
Le origini e l'infanzia 
    « Louis van Beethoven è un ragazzo di undici anni[9] dal talento molto promettente. Suona il pianoforte con molta bravura e forza, legge molto bene a prima vista e, per farla breve, suona per la maggior parte il Clavicembalo ben temperato di Bach che gli è stato messo in mano dal signor Neefe. Chi conosce questa raccolta di preludi e fughe in tutte la tonalità (che si potrebbe quasi definire il non plus ultra) saprà cosa significhi. Il sig. Neefe l'ha avviato anche [...] al basso continuo. Ora gli dà lezioni di composizione e per incoraggiarlo, ha fatto incidere[10] a Mannheim nove sue Variazioni per pianoforte su un tema di marcia[11]. Questo giovane genio meriterebbe un sussidio per permettergli di viaggiare. »
    (Annuncio posto da Christian Gottlob Neefe nel « Magazin der Musik » di Johann Baptist Cramer, 2 marzo 1783[12])

La famiglia di Beethoven, di umile origine, perpetuava una tradizione musicale da almeno due generazioni.
Il nonno paterno, dal quale prendeva il nome, Ludwig van Beethoven[13] (Malines, 1712 – Bonn, 1773) discendeva da una famiglia fiamminga di contadini ed umili lavoratori, originaria del Brabante. La particella «van» non ha dunque origini nobiliari ed il cognome «Beethoven» deriva con ogni probabilità dalla regione olandese chiamata Betuwe e situata nella Provincia di Gheldria.[14] Uomo rispettabile e buon musicista, si era trasferito a Bonn nel 1732, diventando Kapellmeister del Principe elettore di Colonia e sposando nel 1733 Maria Josepha Pall.
Il figlio di questi, Johann van Beethoven (1740 – 1792) era musicista e tenore alla corte del principe arcivescovo elettore di Colonia Clemente Augusto di Baviera. Uomo mediocre e brutale, dedito all'alcool, educò i suoi bambini con grande durezza. La madre, Maria Magdalena van Beethoven, nata Keverich (19 dicembre 1746 – 1787) era nativa di Ehrenbreitstein, in Coblenza, ed era la figlia di un cuoco dell'Elettore di Treviri. I suoi antenati, provenivano dalla Mosella, molto probabilmente da Köwerich, da cui ne deriverebbe il cognome. All'età di 17 anni, nel 1762 andò sposa a un servo e cameriere del Principe elettore di Treviri, chiamato Laym, e da lui ebbe un figlio che morì abbastanza presto. A soli 18 anni, nel 1764, rimase vedova. Tre anni più tardi, il 12 novembre 1767, contrasse un secondo matrimonio, questa volta con Johann van Beethoven; il 2 aprile 1769 venne battezzato il loro primo figlio, Ludwig Maria van Beethoven, che morì dopo appena sei giorni. Il 17 dicembre 1770 nella Remigiuskirche (Chiesa di San Remigio) di Bonn venne battezzato il suo terzo figlio, il secondo del loro matrimonio. Nel libro di battesimo fu registrato con il nome di Ludovicus van Beethoven. Non è possibile documentare con certezza la sua esatta data di nascita, che rimane convenzionalmente accettata al 16 dicembre 1770 (all'epoca i bambini venivano solitamente battezzati il giorno dopo la nascita effettiva, ma non esistono prove documentali che ciò sia avvenuto nel caso di Beethoven). La sua casa natale, divenuta oggi il museo Beethoven-Haus, è a Bonn, in Bonngasse 20.
L'amico d'infanzia Franz Gerhard Wegeler scrisse nelle sue memorie: «Il nostro Ludwig era nato il 17 dicembre 1770»[15]. Il nipote Karl nei Quaderni di conversazione del 1823 scrisse: «Oggi è il 15 dicembre, il tuo giorno di nascita, per quanto ne so; solo non posso essere sicuro se fosse il 15 o il 17, perché non ci si può fidare dell'atto di battesimo»[16]. Divenuto adulto, Beethoven credeva di essere nato nel 1772; al riguardo affermava che quello battezzato nel 1770 era il fratello più vecchio, Ludwig Maria. Alcuni biografi asseriscono che il padre cercasse di farlo passare di età più giovane di quella reale, per fare di lui un bambino prodigio simile a Mozart; tuttavia questa tesi è stata molto discussa. Si conosce che i suoi familiari e l'insegnante Johann Georg Albrechtsberger celebravano il suo compleanno il 16 dicembre.
Dal secondo matrimonio, Maria Magdalena avrà altri cinque figli, dei quali soltanto due raggiungeranno l'età adulta e avranno un ruolo importante nella vita di Beethoven: Kaspar Anton Karl (battezzato l'8 aprile 1774 – morto nel 1815) e Nikolaus Johann (battezzato il 2 ottobre 1776 – morto nel 1848). Essa è descritta come una donna di carattere dolce ma con frequenti cadute depressive. Legati alla madre nell'infanzia, i figli in seguito mantennero per lei solo un tiepido affetto.[17]
Non passò molto tempo prima che Johann van Beethoven individuasse il dono musicale del figlio e tentasse di coltivarne le doti eccezionali per trarne il maggior profitto possibile, soprattutto economico. Pensando a Mozart bambino, esibito dal padre in tournée concertistiche attraverso tutta Europa una quindicina di anni prima, Johann avviò Ludwig allo studio della musica già dal 1775 e notandone fin dall'inizio l'eccezionale predisposizione tentò nel 1778 di presentarlo come virtuoso di pianoforte in un giro di concerti attraverso la Renania, da Bonn a Colonia e nel 1781 nei Paesi Bassi[18]. Tuttavia, il tentativo di trasformare Ludwig in un bambino prodigio non ebbe l'esito sperato dal padre. Johann van Beethoven sembra essere stato capace solo di brutalità e di ostinata autorità: pare che spesso, completamente ubriaco, costringesse Ludwig ad alzarsi da letto a tarda notte, ordinandogli di suonare il pianoforte o il violino per intrattenere i suoi amici. Così come la sua educazione, anche l'istruzione musicale del piccolo Ludwig fu burrascosa: il padre lo affidò inizialmente a tale Tobias Pfeiffer, dimostratosi degno compare nel suo vizio di bere ma non valente insegnante musicale per il figlio. Successivamente Ludwig venne seguito dall'organista di corte Aegidius van der Aeden, poi dal violinista Franz Georg Rovantini, cugino della moglie Maria Magdalena, ed in seguito dal francescano Willibald Koch.
L'amicizia, iniziata sin dai tempi dell'infanzia, con il medico Franz Gerhard Wegeler (1765-1848) gli schiuse le porte della casa della famiglia von Breuning, alla quale rimase legato per tutta la vita. Helene von Breuning era la vedova di un consigliere di corte e cercava un insegnante di pianoforte per i propri figli. Ludwig, definito da Wegeler nelle sue memorie spesso stravagante e scontroso, venne trattato come un componente della famiglia, si trovò perfettamente a proprio agio e si mosse con disinvoltura in questo ambiente intellettuale, fine e cordiale, dove si discuteva di arte e letteratura, e dove la sua personalità ebbe modo di svilupparsi con pienezza. Il giovane Ludwig divenne inoltre allievo del musicista e organista di corte Christian Gottlob Neefe e compose, tra il 1782 e il 1783, le sue prime opere per pianoforte: le Nove Variazioni su una Marcia di Dressler WoO 63, pubblicate a Mannheim[19] e le tre Sonatine dette all'Elettore.
Il mecenatismo di Waldstein e l'incontro con Haydn 



Lettera di Waldstein a Beethoven, ottobre 1792: «Ricevete dalle mani di Haydn lo spirito di Mozart»
    « Caro Beethoven, Ella parte finalmente per Vienna per soddisfare un desiderio a lungo vagheggiato. Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo pupillo. Presso il fecondissimo Haydn ha trovato rifugio, ma non occupazione; e per mezzo suo desidererebbe incarnarsi di nuovo in qualcuno. Sia Lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn. »
    (Lettera del conte Ferdinand von Waldstein a Beethoven, ottobre 1792, citata in CARL DAHLHAUS, Beethoven e il suo tempo)
Nel 1784 venne nominato nuovo Principe elettore l'arciduca Maximilian Franz d'Asburgo, fratello dell'Imperatore Giuseppe II e Gran Maestro dell'Ordine Teutonico che, dopo aver abolito la tortura e promesso una riforma giudiziaria, si occupò della nomina del nuovo Kapellmeister. Aumentò lo stipendio a Johann van Beethoven, nonostante questi avesse ormai perso quasi completamente la voce, e nominò Ludwig secondo organista di corte con uno stipendio annuo di 150 fiorini. Nel 1789, Ludwig si iscrisse all'Università di Bonn, fondata tre anni prima. Egli venne notato dal conte Ferdinand von Waldstein, che portò Beethoven una prima volta a Vienna nell'aprile 1787; qui, il giovane compositore avrebbe avuto un incontro fugace con Mozart[20]. Ma è nel luglio 1792 che il conte Waldstein presentò Beethoven a Franz Joseph Haydn, il quale, appena reduce da una tournée in Inghilterra, si era stabilito a Bonn. Dopo un concerto tenuto in suo onore, impressionato dalla lettura di una cantata composta da Beethoven (probabilmente quella sulla morte di Giuseppe II WoO 87 o quella sull'arrivo di Leopoldo II) Haydn lo invitò a proseguire gli studi a Vienna sotto la sua direzione. Cosciente di quanto rappresentasse a Vienna l'insegnamento di un musicista della fama di Haydn, Beethoven accettò di proseguire i suoi studi sotto la sua guida. Questa importante decisione fu presa di buon grado, ma non senza qualche perplessità; Beethoven infatti era ora costretto ad allontanarsi dalla famiglia che risiedeva a Bonn in condizioni sempre più precarie. Intanto sua madre era morta di tubercolosi nel luglio 1787, seguita in settembre da quella della sorella di appena un anno e suo padre, devastato dall'alcolismo, era stato messo in pensione nel 1789 ed era incapace di garantire la sussistenza della famiglia; Beethoven di fatto si era assunto il compito di essere a capo della famiglia a tutela dei fratelli Kaspar e Nikolaus. Con il permesso dell'elettore – che gli promise in ogni caso di conservargli il posto da organista e lo stipendio – e raccolti in un album gli auguri degli amici, come quelli della ventenne allieva Leonore Breuning che gli dedicò i versi di Johann Gottfried Herder: «Che l'amicizia con il bene cresca | come si allunga l'ombra della sera | finché sia spento il sole della vita» la mattina del 3 novembre 1792, Beethoven lasciò definitivamente Bonn e le rive del Reno forse ignorando che mai più vi avrebbe fatto ritorno, portando con sé una lettera di Waldstein ormai celebre, nella quale il conte gli profetizzava, un ideale passaggio di consegne tramite Haydn, dell'eredità spirituale di Mozart.
1792 – 1802: da Vienna a Heiligenstadt 
I primi anni viennesi 
    « Avete molto talento e ne acquisirete ancora di più, enormemente di più. Avete un'abbondanza inesauribile d'ispirazione, avete pensieri che nessuno ha ancora avuto, non sacrificherete mai il vostro pensiero a una norma tirannica, ma sacrificherete le norme alle vostre immaginazioni: voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime. »
    (Franz Joseph Haydn in una conversazione con Beethoven, circa 1793)
Alla fine del XVIII secolo, Vienna era la capitale incontrastata della musica occidentale e rappresentava il luogo ideale per un musicista desideroso di fare carriera. Al suo arrivo, a soli ventidue anni, aveva già composto un buon numero di opere minori, ma era ancora lontano dalla sua maturità artistica; questo era il tratto che lo distingueva da Mozart, notoriamente divenuto il simbolo del genio incredibilmente precoce. Benché Beethoven fosse arrivato a Vienna meno di un anno dopo la scomparsa del suo famoso predecessore, il mito del «passaggio di consegne» non poteva attendere ancora a lungo, sebbene Beethoven volesse affermarsi più come pianista virtuoso che come compositore. Quanto all'insegnamento di Haydn, per quanto prezioso e prestigioso, risultava procedere non senza qualche difficoltà. Beethoven arrivò a temere che il suo insegnante potesse essere geloso del suo talento e Haydn non tardò ad irritarsi dinanzi all'indisciplina e all'audacia musicale del suo allievo, che forse iniziava a sentire soffocare il suo estro compositivo in quei rigidi metodi di insegnamento a cui era sottoposto. Nonostante una stima reciproca più volte ricordata dagli storici, Haydn non ebbe mai con Beethoven una relazione di profonda amicizia.
Tuttavia Haydn esercitò un'influenza profonda e duratura sull'opera di Beethoven, che più tardi ebbe modo di riconoscere tutto ciò che doveva al suo insegnante. Dopo una nuova partenza di Haydn per Londra (gennaio 1794), Beethoven proseguì studi sporadici fino all'inizio del 1795 con diversi altri professori fra cui il compositore Johann Schenk e ad altri due prestigiosi protagonisti dell'epoca mozartiana: Johann Georg Albrechtsberger e Antonio Salieri. Il primo, in particolare, organista di corte e Kapellmeister nella cattedrale di Santo Stefano, gli fornirà preziosi insegnamenti sulla costruzione del contrappunto polifonico. Nel suo studio conobbe inoltre un altro allievo, Antonio Casimir Cartellieri con il quale strinse rapporti di amicizia che dureranno fino alla morte di quest'ultimo nel 1807. Terminato il suo apprendistato, Beethoven si stabilì definitivamente a Vienna. Poco dopo il suo arrivo fu raggiunto dalla notizia della morte del padre, avvenuta per cirrosi epatica il 18 dicembre 1792; la fuga improvvisa del Principe elettore di Bonn, conquistata dall'esercito francese, gli fece perdere sia la pensione del padre, che lo stipendio di organista.
Le lettere di presentazione di Waldstein e il suo talento di pianista lo avevano fatto conoscere e apprezzare alle personalità dell'aristocrazia viennese, appassionata di opera lirica, i cui nomi restano ancora oggi citati nelle dediche di molte sue opere: il funzionario di corte, barone Nikolaus Zmeskall, il principe Carl Lichnowsky, la contessa Maria Wilhelmina Thun, il conte Andrei Razumovsky, il principe Joseph Franz von Lobkovitz, e più tardi l'arciduca Rodolfo Giovanni d'Asburgo-Lorena, soltanto per citarne alcuni. Dopo aver pubblicato i suoi primi tre Trii per piano, violino e violoncello sotto il numero di opus 1, e quindi le sue prime Sonate per pianoforte, Beethoven diede il suo primo concerto pubblico il 29 marzo 1795 per la creazione del suo Concerto per pianoforte e orchestra n. 2, che sebbene numerato come concerto n° 2 fu in realtà composto negli anni di Bonn, precedentemente al Concerto per pianoforte e orchestra n. 1.
Il primo virtuoso di Vienna 

    « Lo stupefacente modo di suonare di Beethoven, così notevole per gli arditi sviluppi della sua improvvisazione, mi toccò il cuore in modo insolito: mi sentii così profondamente umiliato nel mio più intimo essere da non poter più toccare il pianoforte per diversi giorni [...] Certo, ammirai il suo stile vigoroso e brillante, ma i suoi frequenti e arditi salti da un tema all'altro non mi convinsero affatto; distruggevano l'unità organica e lo sviluppo graduale delle idee [...] la stranezza e l'ineguaglianza sembravano essere per lui lo scopo principale della composizione. »
    (Testimonianza del compositore boemo Johann Wenzel Tomásek in un concerto di Beethoven del 1797)
Nel 1796 Beethoven intraprese un giro di concerti che lo condusse da Vienna a Berlino passando in particolare per Dresda, Lipsia, Norimberga e Praga. Se il pubblico lodò incondizionatamente il suo virtuosismo e la sua ispirazione al pianoforte, l'entusiasmo popolare gli valse lo scetticismo dei critici più conservatori, perlopiù rimasti seguaci di Mozart, tra i quali si segnalano quelli intransigenti come l'abate Maximilian Stadler, che definisce le sue opere «assolute assurdità» e quelli più ponderati come Giuseppe Carpani, che dimostrano quanto Beethoven già in queste prime prove si fosse allontanato dal modello tradizionale della forma sonata.
Beethoven si immerge nella lettura dei classici greci, di Shakespeare e dei fondatori dello Sturm und Drang: Goethe e Schiller. Questi studi influenzarono notevolmente il suo temperamento romantico, già acquisito agli ideali democratici degli illuministi e della Rivoluzione Francese che si diffondevano allora in Europa: nel 1798 Beethoven frequentò assiduamente l'ambasciata francese a Vienna dove incontrò Bernadotte e il violinista Rodolphe Kreutzer al quale dedicherà, nel 1803 la Sonata per violino n. 9 che porta il suo nome. Mentre la sua attività creatrice si intensificava (composizione delle Sonate per piano n. 5 e n. 7, e delle prime Sonate per violino e pianoforte), il compositore partecipò almeno sino al 1800 a tenzoni musicali molto frequentate dalla buona società viennese, che lo consacrarono come il primo virtuoso di Vienna. Pianisti apprezzati come Muzio Clementi, Johann Baptist Cramer, Josef Gelinek, Johann Hummel e Daniel Steibelt ne fecero le spese.[senza fonte]
A conclusione di questo periodo inizia la produzione dei primi capolavori quali: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 (1798), i primi sei Quartetti d'archi (1798-1800), il Settimino per archi e fiati (1799-1800), la Sonata per pianoforte n. 8, detta Patetica (1798-1799) e la Prima Sinfonia (1800). Benché l'influenza delle ultime sinfonie di Haydn fosse evidente, quest'ultima in particolare era già impregnata dal carattere beethoveniano (in particolare nel terzo movimento, detto scherzo) e conteneva le premesse e la promessa delle opere della piena maturità. Il Primo Concerto e la Prima Sinfonia vennero presentati con grande successo il 2 aprile 1800, data della prima Accademia di Beethoven, concerto organizzato dallo stesso musicista e dedicato esclusivamente alle sue opere. Confortato dalle entrate finanziarie costantemente versate dai suoi mecenati, per Beethoven si aprivano le porte per un percorso artistico glorioso e felice che cominciava a superare le frontiere dell'Austria.
La scoperta della sordità 


La prima pagina autografa del Testamento di Heiligenstadt, redatto da Beethoven il 6 ottobre 1802. Colpito dalla sua sordità iniziale, vi esponeva allo stesso tempo la sua disperazione e la sua volontà di continuare.
    « Sono poco soddisfatto dei miei lavori scritti sino ad oggi. Da oggi, voglio aprire un nuovo cammino. »
    (Lettera di Beethoven all'amico Krumpholz, 1802)
L'anno 1796 segnò una svolta nella vita del compositore. In gran segreto, Ludwig iniziava a prendere coscienza della sordità, che gradualmente divenne totale prima del 1820. La causa della sordità di Beethoven è rimasta sconosciuta. Le ipotesi di una labirintite cronica, di una otospongiosi e della malattia di Paget ossea sono state ampiamente discusse ma nessuna è stata mai confermata[21]. Chiusosi in isolamento per non rivelare in pubblico questa realtà sentita come terribile, Beethoven si fece una triste reputazione di misantropo, della quale soffrì in silenzio fino al termine della sua vita.
Consapevole che quest'infermità avrebbe definitivamente distrutto la sua carriera di pianista, dopo aver meditato per qualche momento il suicidio, si dedicò anima e corpo alla composizione.
In una lettera indirizzata ai fratelli espresse tutta la sua tristezza e la fede nella sua arte (Testamento di Heiligenstadt):
    « O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza [...] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento [...] ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo [...] se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l'infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore. »
    ( Beethoven, 6 ottobre 1802[22])

Nonostante la tetraggine, fu un periodo di fertile attività compositiva. Dopo la Sonata per violino n. 5 (1800) (conosciuta popolarmente col titolo La Primavera) e la Sonata per pianoforte n. 14 (1801) (anch'essa conosciuta per un titolo spurio: Al Chiaro di Luna), durante un periodo di crisi morale e spirituale compose la gioiosa Seconda Sinfonia (1801-1802) e il più scuro Concerto per pianoforte n. 3 (1800-1802). Queste due opere vennero accolte molto favorevolmente il 5 aprile 1803.
1802 – 1812: il periodo detto "eroico"
Dall'Eroica al Fidelio 
    « In questa Sinfonia Beethoven si era proposto come argomento ispiratore Bonaparte, quando quest'ultimo era ancora Primo Console. All'epoca Beethoven ne faceva un caso straordinario, e vedeva in lui l'epigono dei grandi consoli romani. »
    (Testimonianza di Ferdinand Ries sulla genesi della Terza Sinfonia)
La Sinfonia n. 3, detta «Eroica» inaugurò una serie di opere caratterizzate da una maggiore durata e una scrittura che ricercava effetti di grandiosità, caratteristiche dello stile del secondo periodo di Beethoven, detto «stile eroico». Il compositore intendeva inizialmente dedicare questa sinfonia al generale Napoleone Bonaparte, nel quale vedeva il salvatore degli ideali della Rivoluzione francese. Non appena apprese la notizia della proclamazione del Primo Impero francese (maggio 1804), infuriato, cancellò velocemente la dedica[23]. Infine, il capolavoro ricevette il titolo «Grande sinfonia Eroica per celebrare la memoria di un grande uomo». La genesi della sinfonia si estese dal 1802 al 1804 e la presentazione pubblica, avvenuta il 7 aprile 1807 smorzò gli entusiasmi: quasi tutti la giudicarono troppo lunga. Beethoven sentendosi amareggiato decise che non avrebbe più fatto nessuna composizione della durata superiore a un'ora. [24], e doveva, fino alla composizione della Nona, considerare l'Eroica come la migliore delle sue sinfonie[25].
Anche nella scrittura pianistica lo stile si evolveva: scritta immediatamente dopo la Terza Sinfonia negli ultimi mesi del 1803[26], la Sonata per pianoforte n. 21 op. 53, dedicata al conte Waldstein, colpì per il virtuosismo, l'energia "eroica" e l'utilizzo sinfonico dello strumento. Dello stesso stampo fu la grandiosa Sonata per pianoforte n. 23 detta Appassionata (1805), al quale seguì il Triplo Concerto per pianoforte, violino, violoncello e orchestra (1804). Nel luglio 1805 il compositore incontrò Luigi Cherubini, che non gli nascose la sua ammirazione.
A trentacinque anni, Beethoven abbordò il genere operistico. Nel 1801 si era entusiasmato per il libretto Léonore o l'amore coniugale del francese Jean-Nicolas Bouilly, e la composizione dell'opera Fidelio, che portava originariamente nel titolo il nome della sua eroina, Léonore, venne intrapresa fin dal 1803. Questa opera fu accolta male al debutto (soltanto tre rappresentazioni nel 1805), al punto che Beethoven si ritenne vittima di una cabala. Il Fidelio doveva conoscere non meno di tre versioni (1805, 1806 e 1814) e soltanto l'ultima ebbe una buona accoglienza. Beethoven aveva composto un'opera oggi considerata fondamentale nel repertorio lirico ma questa esperienza non venne ripetuta a causa delle troppe amarezze subite, anche se studiò alcuni altri progetti tra cui un Macbeth ispirato all'opera di Shakespeare[27], e soprattutto un Faust da Goethe, verso la fine della sua vita.
L'indipendenza affermata 

    « Principe, ciò che siete, lo siete in occasione della nascita. Ciò che sono, lo sono per me. Principi ce n'è e ce ne saranno ancora migliaia. Di Beethoven ce n'è soltanto uno. »
    (Biglietto di Beethoven al conte Lichnowsky, ottobre 1806)
Dopo il 1805, e nonostante il fallimento artistico del Fidelio, la situazione di Beethoven era tornata favorevole. In pieno possesso della sua vitalità creatrice, sembrò adattarsi al suo udito difettoso e trovare, almeno per qualche tempo, una vita sociale soddisfacente. Gli anni tra il 1806 e il 1808 furono quelli più fertili di capolavori: il solo anno 1806 vide la composizione del Concerto per pianoforte n. 4, dei tre Quartetti per archi n. 7, n. 8 e n. 9 dedicati al conte Andrei Razumovsky, della Quarta Sinfonia e del Concerto per violino. Nell'autunno di quell'anno Beethoven accompagnò il suo mecenate, il principe Carl Lichnowsky, nel suo castello di Slesia, ed in occasione di questo soggiorno diede la dimostrazione più luminosa della sua volontà di indipendenza. Poiché Lichnowsky aveva minacciato di mettere Beethoven agli arresti se si fosse ostinato a rifiutare un'esibizione al piano per alcuni ufficiali francesi ospiti del castello (la Slesia era in quel momento occupata dall'esercito napoleonico dopo Austerlitz) il compositore lasciò il suo ospite dopo un violento litigio. Fece allora domanda di impiego alla Direzione dei Teatri Imperiali, dove si impegna a consegnare annualmente un'opera e un'operetta richiedendo la somma di 2400 fiorini e una percentuale sugli incassi dalla terza rappresentazione di ciascun opera, ma la domanda non venne accolta.
Perso il finanziamento e la protezione del suo principale mecenate, Beethoven riuscì ad affermarsi come artista indipendente e a liberarsi simbolicamente dal patronato aristocratico. Ormai lo stile eroico poteva raggiungere il suo parossismo. Dando seguito al suo desiderio di «affrontare il suo destino alla gola» espresso a Wegeler nel novembre 1801[28], Beethoven mise in cantiere la Quinta Sinfonia. Attraverso il suo celebre motivo ritmico di quattro note esposto fin dal primo movimento, che irradia tutta l'opera, il musicista intendeva esprimere la lotta dell'uomo contro il destino, e il trionfo finale su di esso. L'ouverture del Coriolano, con la quale condivide la tonalità in do minore, era della medesima epoca. Composta contemporaneamente alla Quinta, la Sinfonia pastorale sembra quella più contrastata. Descritta da Michel Lecompte come «la più serena, la più ridotta e la più melodica delle nove sinfonie» e nel medesimo tempo la più atipica[29] è l'omaggio alla natura di un compositore profondamente innamorato della campagna, nella quale ritrovava sempre la calma e la serenità propizie alla sua ispirazione. Autentica anticipatrice del romanticismo musicale, la Pastorale porta come sottotitolo questa frase di Beethoven «Espressione di sentimenti piuttosto che pittura» e ciascuno dei suoi movimenti porta un'indicazione descrittiva.
Il concerto dato da Beethoven il 22 dicembre 1808 fu certamente una delle più grandi Accademie della storia (con quella del 7 maggio 1824). Furono eseguiti in prima assoluta la Quinta e la Sesta sinfonia pastorale, il Concerto per pianoforte n. 4, la Fantasia corale per piano e orchestra, l'Aria per soprano e orchestra "Ah! Perfido" e due inni dalla Messa in Do maggiore composta per il principe Esterházy nel 1807[30]. Dopo la morte di Haydn nel maggio 1809, benché gli restasse ancora qualche avversario in campo artistico, non si poteva più contestare la posizione di Beethoven nel pantheon dei musicisti.
La maturità artistica 

    «  Non avevo mai incontrato un artista così fortemente concentrato, così energico, così interiore. [...] Il suo ingegno mi ha stupefatto; ma egli è purtroppo una personalità del tutto sfrenata, che, se non ha certamente torto nel trovare detestabile il mondo, non si rende così più gradevole a sé e agli altri. [...] Malauguratamente, è una personalità fortemente indotta. »
    (Giudizio di Goethe su Beethoven, 1812)
Nel 1808 Beethoven aveva ricevuto da Girolamo Bonaparte, posto dal fratello Napoleone sul trono della Vestfalia, la proposta per un impiego di Kapellmeister alla corte di Kassel. Sembra che il compositore abbia per un momento pensato di accettare questo incarico prestigioso che, se da un lato rimetteva in discussione la sua indipendenza fino a quel momento difesa così strenuamente, dall'altro gli garantiva una situazione economica e sociale più serena. Fu allora che ebbe un ritorno patriottico e l'occasione di staccarsi dall'aristocrazia viennese (1809). L'arciduca Rodolfo, il principe Kinsky e il principe Lobkowitz garantirono a Beethoven, qualora fosse restato a Vienna, un vitalizio di 4.000 fiorini annui, una somma notevole per l'epoca[31]. Beethoven accettò, sperando di mettersi definitivamente al riparo dalle necessità, ma la ripresa della guerra tra la Francia e l'Austria nella primavera del 1809 rimise tutto in discussione. La famiglia imperiale fu costretta a lasciare Vienna occupata, la grave crisi economica che subì l'Austria dopo Wagram e il Trattato di Schönbrunn imposto da Napoleone rovinò economicamente l'aristocrazia viennese e rese nullo il contratto stipulato da Beethoven. Questi episodi segnarono duramente la sua vita, sempre combattuta tra il desiderio di indipendenza creativa ed il bisogno di condurre una vita economicamente dignitosa.
Nonostante questo, il catalogo delle sue opere continuava ad arricchirsi: gli anni 1809 e 1810 videro ancora la nascita di numerosi capolavori, dal brillante Concerto per pianoforte n. 5 alle musiche di scena per la tragedia Egmont di Goethe, passando per il Quartetto d'archi n. 10 detto «delle Arpe». È a causa della partenza improvvisa del suo allievo e amico, l'arciduca Rodolfo, che Beethoven compose la Sonata per pianoforte n. 26 detta «Les adieux» in tre movimenti programmatici (l'Addio, la Lontananza, il Ritorno). Gli anni tra il 1811 e il 1812 videro il compositore raggiungere il punto massimo della sua creatività. Il Trio per pianoforte n. 7 detto «All'Arciduca» e la Settima Sinfonia rappresentano l'apogeo del periodo «eroico».
1813 – 1817: gli anni oscuri 
L'Amata Immortale 
    « Non è l'attrazione dell'altro sesso che mi attira in lei, no, soltanto lei, tutta la sua persona con tutte le sue qualità hanno incatenato il mio rispetto, i miei sentimenti tutti, la mia sensibilità intera. Quando mi accostai a lei, mi ero formato la ferma decisione di non lasciar germogliare neanche una scintilla d'amore. Ma lei mi ha sopraffatto [...] mi lasci sperare che il suo cuore batterà a lungo per me. Di battere per lei, amata J., questo mio cuore non cesserà se non quando non batterà più del tutto. »
    (Lettera di Beethoven a Josephine von Brunswick, 1805)
Sul piano della vita sentimentale, Beethoven ha suscitato una notevole quantità di commenti da parte dei suoi biografi. Il compositore ebbe tenui relazioni con numerose donne, generalmente sposate, ma non conobbe mai quella felicità coniugale alla quale aspirava e della quale tesserà un'apologia nel Fidelio. Nel maggio 1799 Beethoven divenne insegnante di pianoforte di due figlie della contessa Anna von Seeberg, vedova Brunswick, la ventiquattrenne Therese o Thesi e la ventenne Josephine o Pepi, oltre che di una cugina di queste, la sedicenne Giulietta Guicciardi (1784-1856), ispiratrice e dedicataria della Sonata per pianoforte n. 14 detta Al Chiar di Luna. Quest'ultima è il primo amore di Beethoven: fidanzata con il conte Wenzel Robert von Gallenberg, sposerà quest'ultimo il 30 ottobre 1803 e si stabilirà a Napoli con lui, diventato direttore dei Balletti di Corte. Faranno entrambi ritorno a Vienna nel 1821, dove il conte, oberato dai debiti, litigherà con il musicista, mentre sua moglie lo incontrerà un'ultima volta per ricordargli il loro passato e chiedere 500 fiorini in prestito. Anche Josephine von Brunswick (1779-1821), perennemente sorvegliata dalla sorella Therese, ebbe una relazione con il musicista che fu la più duratura: continuò dopo un primo matrimonio con il conte Joseph von Deym, dal quale ebbe tre figli, nel gennaio 1804 e anche dopo un secondo matrimonio, avvenuto nel 1810 con il barone Christoph von Stackelberg, che l'abbandonerà due anni più tardi. Il 9 aprile 1813, con grande scandalo della famiglia, Josephine diede alla luce una bambina, Minona, affidata alla sorella.[32]
Un po' più fugaci furono gli incontri con la contessa Anna Maria von Erdödy (1779-1837) rimasta paralizzata a causa della perdita del figlio, che rimase comunque sua intima confidente, vivrà in casa sua per qualche tempo nel 1808 e parteciperà alla ricerca di ricchi mecenati per suo conto (le dedicherà le due Sonate per violoncello n. 4 e 5), la cantante lirica berlinese Amalie Sebald (1787-1846), incontrata a Teplitz tra il 1811 e il 1812, e la contessa Almerie Ersterhazy (1789-1848). Nel 1810, con Thérese Malfatti (1792-1851), ispiratrice della celeberrima bagatella per pianoforte Per Elisa WoO 59, Beethoven progettò un matrimonio che non andrà in porto, cosa che gli provocherà una delusione profonda. Un altro evento importante nella vita sentimentale del musicista fu la scrittura della celeberrima Lettera all'amata immortale, redatta in tre riprese a Teplitz tra il 6 e il 7 luglio 1812. La destinataria resterà forse per sempre sconosciuta, anche se i nomi di Josephine von Brunswick e soprattutto di Antonia Brentano Birkenstock (1780-1869), sposata al senatore di Francoforte Franz von Brentano, che incontrò Beethoven a Vienna e a Karlsbad tra il 1809 e il 1812, sono quelli più accreditati negli studi biografici dei coniugi Massin[33] e di Maynard Solomon[34].
L'incidente di Teplitz 

    « Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza. »
    (Lettera di Beethoven alla contessa von Erdödy, 1815)
Il mese di luglio 1812, abbondantemente commentato dai biografi, segnò una nuova svolta nella vita di Beethoven. Mentre si sottoponeva alle cure termali nelle località di Teplitz e di Karlsbad redasse l'enigmatica Lettera all'amata immortale e fece un incontro infruttuoso con Goethe con la mediazione di Bettina Brentano von Arnim, giovane ed esuberante intellettuale, entusiasta di Goethe, sorella di Clemens Brentano, cognata di Antonia Brentano e futura moglie del poeta Achim von Arnim. Fu questo l'inizio di un lungo periodo di scarsa ispirazione, che coincise anche con molti eventi drammatici che dovette superare in totale solitudine, avendo quasi tutti i suoi amici lasciato Vienna durante la guerra del 1809.
L'accoglienza molto favorevole riservata dal pubblico alla Settima Sinfonia e alla vivace composizione La vittoria di Wellington (dicembre 1813) e alla riproposta, ugualmente trionfale, del Fidelio nella sua versione definitiva (maggio 1814), coincisero con il Congresso di Vienna del 1814, dove Beethoven venne esaltato come musicista nazionale e di conseguenza raggiunse la sua maggiore popolarità[35]. Nonostante la sua fama fosse sempre maggiore, Beethoven prendeva coscienza che qualcosa nei gusti musicali della Vienna di quegli anni stava mutando e come il pubblico viennese fosse sempre più sedotto dalla gaiezza della musica di Gioachino Rossini.
Inoltre lo spirito della restaurazione che ispirava Metternich lo mise in una situazione difficile, essendo la polizia viennese da tempo al corrente delle convinzioni democratiche e liberali del compositore. Sul piano personale, l'evento più importante fu la morte del fratello Kaspar Karl nel 1815, a quel tempo cassiere alla Banca Nazionale di Vienna. Beethoven aveva promesso di seguire l'istruzione di suo figlio Karl e dovette far fronte ad una serie interminabile di processi contro sua moglie – Johanna Reis, figlia di un tappezziere, considerata di dubbia moralità – per ottenerne la tutela esclusiva, finalmente guadagnata grazie a una sentenza del tribunale emessa l'8 aprile 1820.[36]. Malgrado l'attaccamento e la buona volontà del compositore, questo nipote diventerà per lui, fino alla vigilia della sua morte, una sorta di tormento. L'altro fratello, Nikolaus Johann, che Ludwig non sopporta, è farmacista a Linz e sposerà dopo una lunga convivenza Therese Obermayer, la figlia di un fornaio. In questi anni difficili nel corso dei quali la sordità divenne totale, Beethoven produsse soltanto alcuni capolavori: le due Sonate per violoncello n. 4 e 5 dedicate alla confidente Maria von Erdody (1815) la Sonata per pianoforte n. 28 (1816) e il ciclo pregnante di lieder An die ferne Geliebte, (1815-1816), tratto dai poemi di Alois Jeitteles.
Mentre la sua situazione finanziaria diventava sempre più preoccupante, Beethoven cadde gravemente malato tra il 1816 e il 1817 mentre la sordità peggiorava e sembrò vicino al suicidio. Tuttavia decise di non suicidarsi e sottomettere i suoi sentimenti facendone musica, come traspare dalle sue lettere[37]: sempre più chiuso nell'introspezione e nella spiritualità, cominciò il suo ultimo periodo creativo.
La fama europea e i ritratti 

    « Nella sua apparenza esteriore tutto è possente, rude, in molti aspetti, come la struttura ossea del viso, della fronte alta e spaziosa, del naso corto e diritto, con i suoi capelli arruffati e raggruppati in grosse ciocche. Ma la bocca è graziosa e i suoi begli occhi parlanti riflettono in ogni istante i suoi pensieri e le sue impressioni che mutano rapidamente, ora graziose, amoroso–selvagge, ora minacciose, furenti, terribili. »
    (Descrizione del viso di Beethoven del dottor Wilhelm Muller, 1820)
Conquistata una fama a livello europeo, diversi pittori si offrirono di immortalare l'immagine del compositore: già ritratto da Joseph Willibrord Mãhler nel 1805 e da Johann Cristoph Heckel nel 1815 – i due ritratti, specie quest'ultimo, sono probabilmente i più veritieri perché privi di abbellimenti di circostanza. Il berlinese August von Kloeber lo ritrae nel 1818 non prima di averlo spettinato sapientemente, in modo da dargli quell'aspetto fra l'eroico e il demoniaco che ormai il mito romantico pretendeva di attribuire alla sua figura. E tale aspetto piaceva a Beethoven, che dichiara di non amare essere ritratto "tirato a lucido, come se stessi per prendere servizio a corte". Il dipinto è perduto ma ne resta il disegno preparatorio.
Nello stesso anno si fece ritrarre dall'ungherese Ferdinand Schimon, che aveva già ritratto Ludwig Spohr e Weber. Ne riprodusse la fronte ampia, il volto pieno e il mento a conchiglia, migliorando la forma del naso e soprattutto facendogli volgere lo sguardo scrutatore verso spazi lontani e indeterminati. Il pittore accademico di re e principesse Joseph Karl Stieler, forse intimidito dal famoso "modello", costrinse Beethoven a lunghe ore di posa, immobile, per svariati giorni. Finita nell'aprile del 1820 l'opera, che lo rappresentava mentre componeva la sua Missa, benché eseguita con cura come ci si poteva attendere da un pittore alla moda, nobilitò romanticamente la figura del musicista ma non riuscì a dargli espressione e forza interiore. Un ultimo ritratto fu eseguito nel 1823 da Ferdinand Georg Waldmûller, ma se ne è perduto l'originale. Ne resta una copia che ci trasmette l'immagine di un uomo solitario che, lontano da ogni illusione romantica, non riesce a mascherare l'amarezza.
1818 – 1827: l'ultimo Beethoven 
L'addio al pianoforte, la religiosità e la Messa in re 
    « Voglio dunque abbandonarmi con pazienza a tutte le vicissitudini e rimettere la mia fiducia unicamente nella tua immutabile bontà, o Dio! [...] Sei la mia roccia, o Dio, sei la mia luce, sei la mia assicurazione eterna! »
    (Citazione religiosa di Christian Sturm copiata da Beethoven nei Quaderni di conversazione, 1818)
Beethoven tornò pienamente in forze nel 1817, anno in cui iniziò la scrittura di una nuova opera che sarà la più vasta e complessa composta fino ad allora, la Sonata per piano n. 29 op. 106 detta Hammerklavier. La durata superiore ai quaranta minuti e l'esplorazione oltre ogni limite di tutte le possibilità dello strumento, lasciò perplessi i pianisti contemporanei di Beethoven che la giudicarono ineseguibile, ritenendo che la sordità del musicista gli rendeva impossibile una corretta valutazione delle possibilità sonore. Con l'eccezione della Nona Sinfonia lo stesso giudizio verrà dato per tutte le restanti opere composte da Beethoven, la cui complessità e modernità di architettura sonora erano ben note allo stesso Beethoven. Dolendosi un po' delle frequenti lamentele dei vari interpreti, nel 1819 dichiarò al suo editore: «Ecco una sonata che darà filo da torcere ai pianisti, quando la eseguiranno tra cinquanta anni»[38]. A partire da allora, chiuso totalmente nella sua infermità, iniziò ad essere circondato da una corte di allievi, ammiratori, servitori che lo adulavano e spesso lo irritavano. Per comunicare con loro usò i Quaderni di conversazione scritti direttamente dal musicista o trascritti dai suoi collaboratori, i quali costituiscono un'eccezionale testimonianza dell'ultimo periodo di vita del compositore.
Pur non essendo un assiduo praticante, Beethoven era sempre stato credente. Il suo avvicinarsi alla fede e al Cristianesimo crebbe negli anni più duri della sua vita, come testimoniano le numerose citazioni di carattere religioso che trascrisse nei suoi quaderni a partire dal 1817. E' in questo periodo, precisamente nella primavera del 1818, che Beethoven decise di comporre una grande opera religiosa che inizialmente prevedeva di utilizzare in occasione dell'Incoronazione dell'arciduca Rodolfo, che anelava d'essere elevato a rango di Arcivescovo di Olmütz da lì a pochi mesi. Contrariamente alle previsioni la colossale Missa Solemnis in re maggiore richiese al musicista quattro anni di duro lavoro (1818-1822) e fu dedicata soltanto nel 1823. Beethoven aveva studiato a lungo le Messe di Bach e l'oratorio Messiah di Händel prima di cimentarsi nella composizione di questa importante opera, della quale nutriva grande considerazione, al punto di ritenere la composizione della Missa Solemnis come «la mia migliore opera, il mio più grande lavoro». Parallelamente a questo lavoro vennero composte le ultime Sonate per pianoforte opere n. 30, 31, 32. Gli restava ancora da comporre l'ultimo capolavoro pianistico: l'editore Anton Diabelli aveva invitato nel 1822 tutti i compositori del suo tempo a scrivere una variazione su un valzer molto semplice nella struttura musicale. Dopo aver inizialmente accantonato il progetto[39], Beethoven riprese e ampliò il lavoro arrivando a comporre ben 33 variazioni sul tema iniziale. Il risultato ottenuto è notevole: le variazioni Diabelli sono infatti paragonate per grandezza solo alle famose Variazioni Goldberg, composte da Bach ben ottanta anni prima.
La Nona sinfonia e gli ultimi quartetti [modifica]

    « Il vostro genio ha superato i secoli e non vi sono forse uditori abbastanza illuminati per gustare tutta la bellezza di questa musica; ma saranno i posteri che renderanno omaggio e benediranno la vostra memoria molto più di quanto possano fare i contemporanei. »
    (Lettera del principe russo Boris Galitzin a Beethoven dopo la prima rappresentazione della Missa Solemnis, 1824)
L'inizio della composizione della Nona Sinfonia coincise con il completamento della Missa Solemnis. Questa opera ebbe una genesi estremamente complessa che si può fare risalire alla gioventù di Beethoven, e all'intenzione di mettere in musica il poema An die Freude (Inno alla gioia) di Schiller[40]. Attraverso l'indimenticabile finale che introduce il coro, l'innovazione nella scrittura sinfonica della Nona Sinfonia appare in linea alla Quinta, come l'evocazione musicale del trionfo della gioia e della fraternità universale sulla disperazione e la guerra. Essa costituisce un messaggio umanista e universale. La sinfonia venne eseguita per la prima volta davanti a un pubblico in delirio il 7 maggio 1824 e Beethoven ritrovò il grande successo. È in Prussia e in Inghilterra, dove la notorietà del musicista era da tempo commisurata alla grandezza del suo genio, che la sinfonia ebbe l'accoglienza più folgorante. Più volte invitato a Londra, come Haydn, Beethoven ebbe la tentazione verso la fine della sua vita di stabilirsi in Inghilterra, paese che ammirava per la sua vita culturale e per la sua democrazia, in contrapposizione alla frivolezza della vita viennese[41], ma questo progetto non si realizzò e Beethoven non conobbe mai il paese del suo idolo Händel. L'influenza di quest'ultimo fu particolarmente sensibile nel periodo tardo di Beethoven, che compose nel suo stile, tra il 1822 e il 1823, l'ouverture La Consacrazione della Casa.
I cinque ultimi Quartetti per archi (n. 12, 13, 14, 15 e 16) misero il sigillo finale alla produzione musicale di Beethoven. Con il loro carattere immaginario, che si ricollega a forme vecchie (utilizzo del modo musicale lidio nel n. 15) segnarono la conclusione della sperimentazione di Beethoven nel campo della musica da camera. I grandi movimenti lenti ad alto tasso drammatico (la cavatina del n. 13 e il Canto di ringraziamento alla Divinità di un convalescente, in modo lidio del n. 15) annunciavano l'inizio del periodo romantico. A questi cinque quartetti, composti nel periodo 1824-1826, occorre aggiungere ancora la Grosse Fuge in si bemolle maggiore op. 133, che era in origine il movimento conclusivo del Quartetto n. 13 ma che Beethoven separò in seguito su richiesta dell'editore. Il 15 ottobre 1825 si trasferì nel suo ultimo appartamento viennese, al numero 15 della Schwarzspanierstrasse, in due stanze che facevano parte di quello che era stato un convento degli Spagnoli Neri, lungo le mura della capitale austriaca[42]. Alla fine dell'estate 1826, mentre completava il suo ultimo Quartetto n. 16, Beethoven progettava ancora numerose opere[43]: una decima sinfonia della quale sono giunti sino a noi alcuni schizzi, una ouverture su temi di Bach, il Faust ispirato a Goethe, un oratorio sul tema biblico di Saul e Davide, un altro sul tema degli Elementi e un Requiem. Il 30 luglio 1826 suo nipote Karl tentò il suicidio sparandosi un colpo di pistola e rimanendo leggermente ferito, giustificando il gesto col fatto di non sopportare più i continui rimproveri dello zio il quale, sconfortato, dopo aver rinunciato alla sua tutela in favore dell'amico Stephan Breuning, lo fece arruolare in un reggimento di fanteria, comandato dal suo amico barone Joseph von Stutterheim. La storia fece scandalo, e in attesa che Karl partisse per la sua destinazione a Iglau, in Moravia, zio e nipote andarono a trascorrere una vacanza, ospiti, dietro pagamento, del fratello Nikolaus Johann Beethoven, a Gneixendorf. Qui Beethoven compose la sua ultima opera, un Allegro per sostituire la Grosse Fuge come finale del Quartetto n. 13.
La malattia e la morte 

    « Egli sa tutto, ma non possiamo ancora capire tutto e passerà ancora molta acqua sotto i ponti del Danubio prima che tutto ciò che quell'uomo ha creato sia compreso dal mondo. »
    (Franz Schubert, 1827)
Ritornato a Vienna il 2 dicembre 1826 su un carro scoperto e in una notte di pioggia, Beethoven contrasse una polmonite doppia da cui non doveva più risollevarsi; gli ultimi quattro mesi della sua vita furono segnati da un terribile logoramento fisico. La causa diretta della morte del musicista, secondo le osservazioni del suo ultimo medico (il dottor Andras Wawruch) sembra essere la decompensazione di una cirrosi epatica. Beethoven presentava un'epatomegalia, un'itterizia, un'ascite (allora chiamata «idropisia addominale») nei diversi ordini dei membri inferiori, elementi di una sindrome cirrotica con ipertensione, e, costretto perennemente a letto, dovette sottoporsi a un'operazione per rimuovere l'acqua accumulata.[44]. Fino alla fine il compositore restò circondato dai suoi amici tra i quali Anton Schindler e Stephan von Breuning, oltre alla moglie del fratello Johann e al musicista Anselm Huttenbrenner, che fu l'ultima persona a vederlo in vita. Alcune settimane prima della morte avrebbe ricevuto la visita di Franz Schubert[45], che non conosceva e si rammaricava di avere scoperto così tardi. È al suo amico, il compositore Ignaz Moscheles, promotore della sua musica a Londra, che invia la sua ultima lettera nella quale promette nuovamente agli inglesi di comporre, una volta guarito, una nuova sinfonia per ringraziarli del forte sostegno[46]. Ma era troppo tardi.

Il 3 gennaio 1827 fa testamento, nominando il nipote Karl suo erede: il 23 marzo riceve l'estrema unzione e il giorno dopo perde conoscenza. Il 26 marzo 1827 Ludwig van Beethoven si spegne all'età di 56 anni. Nonostante Vienna non si occupasse più della sua sorte da mesi, i suoi funerali, svoltisi il 29 marzo, riunirono una processione impressionante di almeno ventimila persone. L'orazione funebre venne pronunciata da Franz Grillparzer. Venne inizialmente sepolto nel cimitero di Wahring, a ovest di Vienna. Nel 1863 il corpo di Beethoven venne riesumato, studiato e di nuovo sepolto. Il suo teschio venne acquisito dal medico austriaco Romeo Seligmann per ricavare un modello, tuttora conservato al Center for Beethoven Studies presso la San José State University in California. I suoi resti vennero sepolti nel Zentralfriedhof nel 1888. Il suo segretario e primo biografo Anton Felix Schindler[47], nominato custode dei beni del musicista, dopo la sua morte distruggerà una grandissima parte dei Quaderni di conversazione e in quelli rimasti addirittura aggiungerà arbitrariamente frasi scritte di sua mano. La distruzione venne giustificata con il fatto che molte frasi erano attacchi grossolani e sfrenati ai membri della famiglia imperiale, contro l'imperatore e anche contro il principe ereditario, diventato anch'esso imperatore e con il quale aveva mantenuto rapporti stretti di amicizia, nonostante per gran parte della sua vita Beethoven fosse stato in costante rivolta contro le autorità costituite, le norme e le leggi.
Negli anni che seguirono la sua morte, furono formulate diverse ipotesi riguardanti una malattia di cui Beethoven avrebbe sofferto durante tutto l'arco dell'esistenza – indipendentemente dalla sordità, il compositore lamentava continui dolori addominali e disordini alla vista – e attualmente tendono a stabilirsi al livello di un saturnismo cronico o intossicazione severa da piombo[48]. Il 17 ottobre 2000, dopo quasi 200 anni dalla morte del compositore, fu il dottor William J. Walsh, direttore del progetto di ricerca su Beethoven (Beethoven Research Project), a rivelare questa ipotesi come causa probabile del decesso. Beethoven, grande degustatore del vino del Reno, aveva l'abitudine di bere da una coppa di cristallo di piombo, oltre ad aggiungere un sale piomboso per rendere il vino più dolce. Dai risultati delle analisi sui suoi capelli furono riscontrati importanti quantità di piombo, e questi risultati sono stati confermati dall'Argonne National Laboratory, nei pressi di Chicago, grazie a ulteriori analisi di frammenti del cranio, identificati grazie al DNA. La quantità di piombo rilevata era effettivamente il segnale di un'esposizione prolungata[49]. Questa intossicazione di piombo fu la causa dei perpetui dolori al ventre che segnarono la vita di Beethoven, nonché dei suoi numerosi e repentini sbalzi d'umore e, forse, anche della sua sordità. Non ci sono comunque legami formali stabiliti e provati tra la sordità di Beethoven e la sua intossicazione da piombo; in seguito all'autopsia, eseguita il giorno dopo la sua morte, risultò che il nervo acustico del musicista era completamente atrofizzato, pertanto nessuna cura dell'epoca poteva essere efficace.
Il 30 agosto 2007 il patologo, ricercatore e medico legale viennese Christian Reiter rese pubblica la scoperta delle sue ricerche su due capelli del musicista. Secondo Reiter, Beethoven venne ucciso involontariamente dal suo medico Andras Wawruch durante uno dei quattro drenaggi ai quali fu sottoposto. Venne ferito con un bisturi, e per curare al meglio la ferita il medico usò un unguento al piombo, che veniva usato nell'Ottocento come antibatterico.[50]
Lo stile 
I cataloghi delle opere

Frontespizio originale con dedica della prima edizione dello spartito della Sonata per pianoforte n. 32 opus 111.
Le opere di Beethoven sono conosciute sotto varie designazioni:
•    con il numero di Opus che il compositore stesso ha assegnato alle sue opere (dall'op. 1 all'op. 138);
•    con il numero di catalogo assegnato a posteriori dai musicologi alle opere senza numero, il cosiddetto WoO (Werke ohne Opuszahl, dal WoO 1 al WoO 205);
•    con il numero di catalogo assegnato come appendice (Anhang, contratto nella sigla Anh) per quei lavori dubbi o erroneamente attribuiti al compositore (dall'Anh 2 all'Anh 6 restano ancora da attribuire, mentre l'Anh 1 e dall'Anh 7 all'Anh 18 sono opere non scritte da Beethoven e a lui erroneamente attribuite);
•    con il numero assegnato alle opere non comprese nella vecchia edizione completa ottocentesca (la Gesamtausgabe della Breitkopf & Härtel), e ad opere incompiute, trascrizioni, abbozzi continuativi, principalmente nei cataloghi di Willy Hess (Catalogo Hess, 1957) e di Giovanni Biamonti (Catalogo Biamonti, 1968).
Altri musicologi hanno inoltre catalogato l'opera di Beethoven:
•    Gustav Nottebohm (1851-1868)
•    Adolf Bernhard Marx (1859, in ordine cronologico)
•    Alexander Wheelock Thayer (1865)
•    Sir George Groove (1911, che ha seguito i numeri di opus fino al 138 e poi ha aggiunto i WoO numerandoli fino al 256)
•    Antonio Bruers (1950, ha ampliato i WoO di Groove arrivando fino al 350)
•    Georg Kinsky e Hans Halm (Catalogo Kinsky/Halm, 1955).


Panoramica 
Beethoven è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi compositori della musica occidentale. Egli rimase aderente alle forme e ai modelli del classicismo, tuttavia il suo stile, molto variegato e complesso, ebbe grande influenza sulla musica romantica. Haydn trovandosi a discorrere della sua personalità di compositore, ebbe a dirgli:
    « Voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime[51] »

Beethoven ha scritto opere in molti generi musicali e per una grande varietà di combinazioni di strumenti. Le sue opere per orchestra sinfonica includono nove sinfonie (con un coro nella Nona), e circa una dozzina di altre composizioni. Ha scritto sette concerti per uno o più solisti ed orchestra, due romanze per violino e orchestra ed una Fantasia corale con pianoforte solista, coro e orchestra. La sua unica opera è il Fidelio; altri lavori vocali con accompagnamento strumentale annoverano, fra le varie composizioni, due messe e l'oratorio Cristo sul Monte degli Ulivi.
Moltissime le composizioni per pianoforte di cui trentadue sonate per pianoforte e numerosi arrangiamenti per pianoforte di altre sue composizioni, nonché il concerto triplo. L'accompagnamento pianistico è previsto in 10 sonate per violino, 5 sonate per violoncello, e una sonata per il corno francese, insieme a numerosi lieder.
Beethoven ha scritto anche una quantità rilevante di musica da camera. Oltre a 16 quartetti per archi, scrisse 5 composizioni per Quintetto d'archi, sette per trio con pianoforte, violino e violoncello, cinque per trio d'archi, e numerosi lavori per vari gruppi di strumenti a fiato.
Dal punto di vista della forma musicale, l'opera di Beethoven influenzò profondamente l'evoluzione del modello della forma-sonata, in particolare per quello che riguarda lo sviluppo tematico nel primo movimento. È stato uno dei primi compositori a fare uso sistematico e consistente del collegamento di dispositivi tematici, o "motivi in germe" (germ-motives), per realizzare l'unità di un movimento nelle composizioni maggiori. Ugualmente notevole è l'uso di "motivi base" (source-motives) che ricorrono in molte composizioni e che danno una certa unitarietà alla sua opera. Nelle sue opere sia cameristiche sia orchestrali, spesso sostituì il minuetto con lo scherzo.
Complessivamente la sua figura è di transizione: la sua opera contiene elementi sia romantici sia tipicamente classicisti.[7][8]
Periodizzazione 
Wilhem von Lenz propose una ripartizione stilistica ancora in uso della carriera di compositore di Beethoven in tre "periodi" creativi:
•    il Primo (Early, 1770-1802)
•    il Mediano (Middle, 1803-1814)
•    il Tardo (Late, 1815-1827)
Benché possa risultare alquanto problematico distinguere nettamente i confini tra un periodo e l'altro, la tripartizione è accolta da molti studiosi. Nel primo periodo, subì l'influenza di Haydn e Mozart, come spiegato nella sezione Le influenze. Il periodo mediano cominciò subito dopo la crisi personale del compositore centrata intorno allo sviluppo della progressiva sordità. Infine il periodo tardo è caratterizzato da lavori che mostravano profondità intellettuale, un'alta e intensa personalità espressiva, e innovazioni formali.
Decisamente contrario a tale divisione dell'opera beethoveniana fu il filosofo e musicologo Theodor Wiesengrund Adorno: esistono aspetti armonici, ritmici e melodici comuni ai tre cosiddetti periodi perfino in opere definite minori o di apprendistato. Per esempio, l'inizio della Seconda Sinfonia che anticipa il famoso incipit della Nona, nel materiale tematico e, più profondamente, nel colore. Inoltre, Adorno dimostrò come il contrappunto, anima delle ultime definitive opere, sia la profonda caratteristica del pensiero compositivo beethoveniano fin dall'opus 1; per questo questa suddivisione rischia di falsare l'intera opera beethoveniana. Si può dividere la produzione del compositore in tre periodi solamente considerando i caratteri e gli atteggiamenti psicologici e non quelli musicali, secondo Adorno.
Le innovazioni 
Nella storia musicale, l'opera di Beethoven rappresenta un momento di transizione: se le sue prime opere sono influenzate da Haydn o Mozart, le opere mature sono ricche di innovazioni e hanno aperto la strada ai musicisti del secondo Romanticismo, quali Brahms, Wagner o ancora Bruckner:
•    L'incipit della sua V Sinfonia (1807) espone un breve, violento motivo che è riutilizzato durante tutti i quattro movimenti. La transizione tra lo scherzo e l'allegro finale avviene senza interruzione, mediante un "attacca".
•    La IX Sinfonia (1817) è la prima sinfonia ad introdurre un coro, al quarto movimento. L'insieme di questa elaborazione orchestrale rappresenta una vera innovazione.
Sul piano della tecnica compositiva, l'impiego di motivi che alimentino interi movimenti è considerato come un apporto fondamentale. Di essenza squisitamente ritmica – cosa che costituisce una grande novità – questi motivi si modificano e si moltiplicano. Tra i più famosi:
•    Primo movimento del IV Concerto per piano (presente sin dalle prime battute);
•    Primo movimento della V Sinfonia (idem);
•    Secondo movimento della VII Sinfonia (dal ritmo dattilico): il turbinio sempre rinnovato che ne risulta è estremamente avvincente.
Beethoven dedicò gran cura all'orchestrazione. Negli sviluppi alcune associazioni cangianti di strumenti, specialmente al livello dei legni, permettono d'illuminare in maniera singolare i ritorni tematici, talvolta anche leggermente modificati sul piano armonico. Le variazioni di tono e di colore rinnovano il discorso musicale, sempre conservando il riferimento ai temi nella forma originaria.
Le opere di Beethoven vennero apprezzate in particolare in virtù della loro forza emozionale, che verrà fatta propria dal Romanticismo.
Le influenze 

La giovinezza a Bonn 
Le prime influenze musicali esercitate sul giovane Beethoven non furono tanto quelle di Haydn e di Mozart – dei quali, eccettuate poche partiture[52] non scoprì davvero la musica fin quando non giunse a Vienna – quanto lo stile galante della seconda metà del XVIII secolo e dei compositori della scuola di Mannheim, di cui poté ascoltare le opere a Bonn, alla corte del principe elettore Maximilian Franz d'Asburgo. Le opere di questo periodo che ci sono pervenute (nessuna delle quali appariva nel catalogo Opus), composte fra il 1782 e il 1792, testimoniano già una rimarchevole padronanza della composizione; ma sono assenti i caratteri peculiari di Beethoven che troviamo nel periodo viennese. Nelle Sonate all'Elettore WoO 47 (1783), nel Concerto per pianoforte WoO 4 (1784) o ancora nei Quartetti con pianoforte WoO 36 (1785), si svela soprattutto una forte influenza dello stile galante di compositori come Johann Christian Bach.
Due altri membri della famiglia Bach costituiscono d'altronde lo zoccolo della cultura musicale del giovane Beethoven: Carl Philipp Emanuel, di cui eseguì le sonate, e naturalmente Johann Sebastian, di cui imparò a memoria le due raccolte del Clavicembalo ben temperato.
L'influenza di Franz Joseph Haydn 
L'influenza esercitata da Haydn – soprattutto in rapporto a quella di Clementi – impregna fortemente la concezione beethoveniana della musica. In effetti, il modello del maestro viennese non si manifesta tanto, come troppo spesso si crede, nelle opere "del primo periodo", quanto in quelle degli anni seguenti: la stessa Eroica, in spirito e proporzioni, ha che fare con Haydn ben più delle due sinfonie precedenti; analogamente, Beethoven si avvicina al suo predecessore più nell'ultimo quartetto, terminato nel 1826, che nel primo, composto una trentina d'anni addietro. Nello stile haydniano si distinguono pure gli aspetti che diverranno essenziali nello spirito di Beethoven: soprattutto, è il senso haydniano del motivo che influenza profondamente e durevolmente l'opera di Beethoven, come nel primo movimento della Quinta. Alla riduzione quantitativa del materiale di partenza corrisponde un'estensione dello sviluppo: attraverso l'uso del motivo, ereditato da Haydn, Beethoven genera uno sviluppo tematico di un'ampiezza fino ad allora inedita.
Talora l'influenza di Haydn si estende anche all'organizzazione interna di un intero movimento di sonata. Per il maestro classico viennese, è il materiale tematico che determina la struttura dell'opera. È quanto avviene, ad esempio, come spiega Charles Rosen,[53] nel primo movimento della Sonata "Hammerklavier" op. 106: è la terza discendente del tema principale a determinare l'intera struttura (si può notare ad esempio che lungo l'intero brano le tonalità si susseguono in un ordine di terze discendenti: si bemolle maggiore, sol maggiore, mi bemolle maggiore, si maggiore, ecc.).
Altri caratteri meno fondamentali dell'opera di Haydn hanno talvolta influenzato Beethoven. Haydn è il primo compositore ad avere fatto uso più o meno sistematicamente della tecnica di iniziare il brano in una falsa tonalità, mimetizzando la tonica. Questo principio illustra bene la propensione tipicamente haydniana a suscitare sorpresa nell'ascoltatore, tendenza che si ritrova ampiamente in Beethoven: l'ultimo movimento del Quarto concerto per pianoforte, ad esempio, sembra, per qualche battuta, iniziare in do maggiore, prima di stabilire chiaramente la tonica (sol). Haydn è anche il primo a essersi dedicato alla questione dell'integrazione della fuga nella forma sonata; questione alla quale ha risposto specificamente impiegando la fuga come sviluppo. In quest'ambito, prima di mettere a punto nuove metodiche (che non appariranno prima della Sonata op. 111 e del Quartetto op. 131), Beethoven sfrutterà più volte le intuizioni del suo maestro: l'ultimo movimento della Sonata op. 101 e il primo della op. 106 ne sono probabilmente chiari esempi.
L'influenza di Mozart 
Occorre distinguere nell'influenza di Mozart su Beethoven un aspetto estetico e un aspetto formale:
•    L'estetica mozartiana si manifesta principalmente nelle opere del "primo periodo", ma superficialmente, poiché l'influenza del maestro si riduce il più delle volte a prestiti di formule stereotipate. Fin circa al 1800 la musica di Beethoven s'iscrive più che altro ora nello stile postclassico ora nel preromantico, all'epoca rappresentato da compositori come Clementi e Hummel: uno stile che imita Mozart soltanto in superficie, e che si potrebbe qualificare come "classicheggiante" piuttosto che veramente "classico" (secondo l'espressione di Rosen).
•    L'aspetto formale dell'influenza di Mozart si manifesta quasi esclusivamente a partire dalle opere del "secondo periodo". Nella scrittura di concerti, il modello di Mozart sembra più presente: nel primo movimento del Concerto per pianoforte n. 4, l'abbandono della doppia esposizione della sonata (orchestra e solista in successione) a vantaggio di un'unica esposizione (orchestra e solista simultanei) riprende in qualche modo l'idea mozartiana di fondere la presentazione statica del tema (orchestra) nella sua presentazione dinamica (solista). Più in generale, si può notare che Beethoven, nella sua propensione ad amplificare le code fino a trasformarle in elementi tematici a tutti gli effetti, si pone più sulla scia di Mozart che in quella di Haydn, nel quale invece le code si distinguono assai meno dalla ripresa.
Le sonate per pianoforte di Clementi 
Nell'ambito della musica per pianoforte, è soprattutto l'influenza di Muzio Clementi a esercitarsi rapidamente su Beethoven, dal 1795, e a permettere alla sua personalità di affermarsi e fiorire autenticamente. Se tale influenza non è stata altrettanto profonda di quella delle opere di Haydn, la portata delle sonate per pianoforte del celebre editore non appare meno immensa nell'evoluzione stilistica di Beethoven, che le giudicava del resto superiori a quelle dello stesso Mozart. Alcune di esse, per la loro audacia, la loro potenza emozionale e l'innovativa concezione dello strumento, ispirano qualcuno dei primi capolavori di Beethoven; gli elementi che, per primi, distinguono lo stile pianistico del genio bonnese provengono per buona parte da Clementi.[senza fonte]
Infatti, dagli anni 1780, Clementi sperimenta un nuovo impiego di accordi fino ad allora inusitati: le ottave, soprattutto, ma anche le seste e le terze parallele. Clementi arricchisce anche sensibilmente la scrittura pianistica, dotando lo strumento di una potenza sonora inedita, che deve aver certamente impressionato il giovane Beethoven: egli infatti, dopo le prime tre sonate, integrerà presto il procedimento clementiano nel proprio stile. Inoltre, l'uso delle indicazioni dinamiche, nelle sonate di Clementi, si estende: pianissimo e fortissimo divengono frequenti, e la loro funzione espressiva assume un'importanza considerevole. Anche in questo caso Beethoven coglie al volo le possibilità dischiuse da queste innovazioni e, dalla Patetica, questi principi appaiono definitivamente incorporati nel suo stile.
Un altro punto in comune fra le prime sonate di Beethoven e quelle, contemporanee o anteriori, di Clementi è la loro estensione, piuttosto significativa per l'epoca: i lavori che ispirano il giovane musicista sono in effetti opere di vasto respiro, spesso formate da ampi movimenti. Vi si trovano le premesse di una nuova visione dell'opera musicale, ormai concepita per essere unica. Le sonate per pianoforte di Beethoven sono note per essere state in qualche modo il suo «laboratorio sperimentale», quello dal quale traeva le nuove idee che estendeva in seguito ad altre forme musicali, come la sinfonia. Infatti, come rimarca Marc Vignal,[54] si trovano ad esempio importanti influenze delle sonate op. 13 n. 6 e op. 34 n. 2 di Clementi nell'Eroica.
Händel e gli antichi
Assimilate le influenze «eroiche», intrapreso davvero un «nuovo cammino»[55] nel quale sperava di impegnarsi, affermata definitivamente la propria personalità attraverso le realizzazioni di un periodo creativo che va dall'Eroica alla Settima, Beethoven smise di interessarsi alle opere dei contemporanei, e di conseguenza cessarono le loro influenze. Fra i contemporanei solo Cherubini e Schubert lo incantavano ancora; ma in nessun modo pensava di imitarli. Sprezzando l'intera opera italiana, e disapprovando fermamente il nascente romanticismo, Beethoven sentì allora il bisogno di volgersi ai «pilastri» storici della musica: Bach e Händel, ma anche i maestri rinascimentali, come Palestrina. Fra queste influenze, il posto di Händel è privilegiato: questi non ebbe indubbiamente mai ammiratore più fervido di Beethoven, che (riferendosi alla sua intera opera, che aveva appena ricevuto) esclamò «Ecco la verità!», e che, al termine della vita, dichiarò di volersi «inginocchiare sulla sua tomba». Dall'opera di Händel, la musica dell'ultimo Beethoven prende spesso un aspetto grandioso e generoso, tramite l'utilizzo di ritmi punteggiati — come nel caso dell'introduzione della "Sonata per pianoforte n. 32", nel primo movimento della "Nona Sinfonia" o ancora nella seconda "Variazione su un tema di Diabelli" — o anche per un certo senso dell'armonia, così come mostrano le prime misure del secondo movimento della "Sonata per pianoforte n. 30", interamente armonizzata nello stile händeliano più puro.
Allo stesso modo è l'inesauribile vitalità che caratterizza la musica di Händel ad affascinare Beethoven, che può essere ritrovata anche nel fugato corale in «Freude, schöner Götterfunken», che segue il celebre «Seid umschlungen, Millionen», nel finale della "Nona Sinfonia": il tema che appare qui, bilanciato da un forte ritmo ternario, è sostenuto da una semplicità ed una vivacità tipicamente Händeliana, perfino nei suoi gravi contorni melodici. Un nuovo passo viene fatto con la "Missa Solemnis", dove l'impronta delle grandi opere corali di Händel si fa sentire più che mai. Beethoven è così assorbito dall'universo del "Messiah" da ritrascrivere, nota per nota, uno dei più celebri motivi dell'"Halleluja" nel "Gloria". In altre opere, si ritrova il nervosismo che riveste i ritmi punteggiati di Händel perfettamente integrato allo stile di Beethoven, come nell'effervescente "Grande fuga" o ancora nel secondo movimento della "Sonata per Pianoforte n. 32", dove questa influenza si vede poco a poco trasfigurata.
Infine, è anche nel settore della Fuga che l'opera di Händel impregna Beethoven. Se gli esempi del tipo scritti dall'autore del "Messie" si basano su un controllo perfetto tecniche di contrappunto, si fondano generalmente su temi semplici e seguono un avanzamento che non pretende all'elaborazione estrema di fughe di Bach. È ciò che ha dovuto soddisfare Beethoven, che da un lato condivide con Häendel la preoccupazione di costruire opere intere a partire da un materiale quanto più semplice possibile, e che d'altra parte non possiede le predisposizioni per il Contrappunto che gli permetterebbe di cercare una sofisticazione eccessiva.
L'influenza kantiana
Il compositore aggiunse alla sua musica una formazione culturale di impronta illuministica, kantiana in particolare[56]. Dal filosofo Beethoven trasse la concezione dell'esistenza, nella coscienza individuale, di una legge morale, espressa nella forma dell'imperativo categorico. Egli mise allora il risultato della propria essenziale attività, la musica, al centro della morale, inserendovi valori ideali, arricchendola di una forza emotiva che esprimesse il movimento dei sentimenti e i conflitti interiori. Dallo stesso autore deiFondamenti metafisici della scienza della natura annotò questo passo: «Nell'anima, come nel mondo fisico, agiscono due forze, egualmente grandi, ugualmente semplici, desunte da uno stesso principio generale: la forza di attrazione e quella di repulsione.» che lo portarono a individuare per analogia il "Widerstrebende Prinzip" e il "Bittende Prinzip", ossia il "principio di opposizione" e il "principio implorante", principi che nella sua opera divengono temi musicali in conflitto reciproco, il primo robustamente caratterizzato da energia ritmica e precisa determinazione tonale, l'altro piano, melodico e modulante.
Tematiche religiose nell'opera beethoveniana 
Il ruolo svolto dalla religione nell'opera del compositore Ludwig van Beethoven è materia di discussione tra gli studiosi. Beethoven nacque e crebbe da cattolico, e compose molti lavori religiosi, tra cui la Messa in Do e la Missa Solemnis. I riferimenti lirici nella sua Nona Sinfonia sono sia deistici (Cherubino, Dio) sia pagano-mitologici (Eliseo). È anche documentato che Beethoven non andava abitualmente in chiesa e che non aveva una buona opinione dei preti. Il suo maestro, Franz Joseph Haydn, disse di considerare Beethoven un ateo, mentre il suo amico e biografo Anton Felix Schindler riteneva che avesse una certa tendenza al deismo. Si sa anche che fu affascinato dal Panteismo descritto da Goethe e da Schiller (come è evidente nella Nona Sinfonia). Di Goethe, Beethoven ha detto: «Egli è vivo, e vuole che tutti noi viviamo con lui. Questo è il motivo per cui può esser messo in musica».
La fede di Beethoven in Dio, sperimentato attraverso l'arte, è un tema ricorrente nei Quaderni di Conversazione, e la sua convinzione che l'arte è di per sé una forza, e che "Dio è più vicino a me che a molti altri che praticano la mia arte", lo guidò nella sua ricerca di redenzione attraverso la musica, e dentro di essa. Questa visione sembra compatibile con il Panteismo, ma il riferimento a un unico Dio, oltre alla convinzione di un destino buono per la sua vita, al di là delle prove (come emerge dal Testamento di Heilingstadt), la rende avvicinabile anche al Cristianesimo[senza fonte].
Quando Beethoven si trovava nel suo letto, a poche ore dalla morte, i suoi amici lo convinsero a permettere che un prete gli amministrasse gli ultimi riti. Probabilmente protestò, ma alla fine acconsentì. Quando il prete, terminati i riti, stava lasciando la stanza, Beethoven disse: «Applaudite, amici, la commedia è finita», ma non è chiaro se si riferisse ai riti o alla sua vita. Non è neanche certo che questo episodio sia accaduto davvero. Si racconta inoltre che le sue ultime parole, «Non ancora! Ho bisogno di più tempo», furono dette indicando con la mano il cielo tempestoso[senza fonte].
Secondo alcuni, Beethoven si interessò anche all'Induismo. Come si legge nel sito A Tribute to Hinduism, «Il primo a fargli conoscere la letteratura indiana fu l'orientalista austriaco Joseph von Hammer-Purgstall (1774-1856), che fondò una rivista per la divulgazione della sapienza orientale in Europa nel gennaio 1809»[senza fonte]. I frammenti di testi religiosi indiani che sono stati scoperti nel diario di Beethoven Tagebuch sono in parte traduzioni e in parte adattamenti delle Upanishad e del Bhagavad Gita.
Opere
Musica sinfonica 
Haydn ha composto più di cento sinfonie e Mozart più di quaranta. Rispetto a quest'ultimi, Beethoven non è stato altrettanto prolifico, componendo solo nove sinfonie, e lasciando alcuni abbozzi per una decima sinfonia mai realizzata; questa discrepanza tra il numero delle sue sinfonie rapportate a quelle dei suoi diretti predecessori è data dalla sua volontà e scelta di comporre prediligendo la qualità rispetto alla quantità dei suoi lavori. A riprova di questa considerazione basta prendere in esame l'intera produzione compositiva di Beethoven raffrontandola a quelle di altri compositori; ad esempio l'intera produzione di Mozart consta di oltre 600 opere (il Catalogo Köchel giunge fino all'opera K 626) mentre Beethoven, seppur vissuto oltre vent'anni più di Mozart, ci ha lasciato un catalogo di opere che arriva solo fino al numero d'opera 139 (Catalogo Kinsky/Halm). Le nove sinfonie di Beethoven quindi, pur non essendo molte, hanno però ognuna una propria forza distintiva e nel loro insieme formano un corpus di opere dalla forza espressiva difficilmente eguagliabile. È cosa nota che, curiosamente, diversi compositori succeduti a Beethoven, romantici o post-romantici, abbiano completato l'insieme delle proprie sinfonie fermandosi alla nona; che sia un caso o sia una scelta voluta forse in omaggio proprio a Beethoven, non ci sono certezze, però a seguito di questi avvenimenti è nato il mito della "maledizione della nona" legata appunto all'ultima cifra d'opera delle sinfonie di diversi compositori, oltre a Beethoven stesso: Bruckner, Dvorak, Mahler, Schubert, ma anche Ralph Vaughan Williams.
Le prime due sinfonie di Beethoven sono d'ispirazione e d'impostazione classica. Diversamente da queste prime due, La 3ª sinfonia, detta «Eroica», segnerà invece un grande cambiamento nella composizione sinfonica e orchestrale. L'Eroica si caratterizza per l'ampiezza dei suoi movimenti e per l'orchestrazione. Il primo movimento era già da solo più lungo di una qualsiasi intera sinfonia scritta fino a quel momento. Quest'opera monumentale, in partenza scritta per Napoleone, prima che fosse incoronato imperatore, ci mostra un Beethoven simile ad grande "architetto musicale" e rimarrà come esempio per il Romanticismo musicale. Nell'intenzione dell'autore l'opera non è semplicemente il ritratto di Napoleone o di un qualsivoglia eroe, ma in essa Beethoven voleva rappresentare l'immortalità delle gesta compiute dai grandi uomini; questi suoi pensieri ci sono giunti dalle lettere scritte di suo pugno[57].
Vengono poi la 5ª sinfonia e la 6ª sinfonia che possono avvicinarsi alla terza per il loro aspetto monumentale[perché?]. Della quinta è noto il suo famoso motivo a quattro note, spesso detto «del destino» (il compositore avrebbe detto, parlando di questo celebre tema, che rappresenta «il destino che bussa alla porta») utilizzato ripetutamente con variazioni in quasi tutta la sinfonia. La 6ª sinfonia detta «Pastorale» evoca perfettamente l'idea della natura di Beethoven. Ha un carattere quasi impressionistico: oltre a momenti sereni e trasognati, la sinfonia possiede un movimento in cui la musica cerca di rappresentare una tempesta.
La 7ª sinfonia è caratterizzata dal suo aspetto gioioso e dal ritmo frenetico del suo finale, per questo giudicata da Richard Wagner come Apoteosi della danza[58]. La sinfonia successiva, brillante e spirituale, ritorna ad una forma più classica.
Infine, la 9ª sinfonia è l'ultima sinfonia compiuta. Lunga più di un'ora, è una sinfonia in quattro movimenti che non rispetta la forma di sonata. All'ultimo movimento Beethoven aggiunge un coro ed un quartetto vocale che cantano l'Inno alla gioia, dall'ode An die Freude di Friedrich Schiller. Quest'opera richiama all'amore e alla fratellanza tra tutti gli uomini e fa ora parte del patrimonio mondiale dell'UNESCO. L' Inno alla gioia è inoltre stato scelto come inno ufficiale dell'Unione Europea.
•    Sinfonie 
o    Sinfonia n. 1 in Do maggiore, op. 21 (1800)
o    Sinfonia n. 2 in Re maggiore, op. 36 (1802)
o    Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore, op. 55 "Eroica" (1804)
o    Sinfonia n. 4 in Si bemolle maggiore, op. 60 (1806)
o    Sinfonia n. 5 in do minore, op. 67 (1808)
o    Sinfonia n. 6 in Fa maggiore, op. 68 "Pastorale" (1808)
o    Sinfonia n. 7 in La maggiore, op. 92 (1812)
o    Sinfonia n. 8 in Fa maggiore, op. 93 (1813)
o    Sinfonia n. 9 in re minore, op. 125 "Corale" (1824)
•    Ouvertures 
o    Le Creature di Prometeo, (balletto), op. 43 (1801)
o    Ouverture Leonore I, op. 138 (1805)
o    Ouverture Leonore II, op. 72 (1805)
o    Ouverture Leonore III, op. 72a (1806)
o    Coriolano (ouverture) op. 62 (1807)
o    Egmont – Ouverture e musica di scena, op. 84 (1810)
o    Le Rovine di Atene, op. 113 (1811)
o    Re Stefano, op. 117 (1811)
o    Ouverture Fidelio, op. 72b (1814)
o    Ouverture Zur Namensfeier, op. 115 (1815)
o    La consacrazione della casa (Die Weihe des Hauses), op. 124 (1822)
•    Altre Opere 
o    Romanza per violino n° 1, op. 40, in Sol Maggiore (1802)
o    Romanza per violino n° 2, op. 50, in Fa Maggiore (1802)
o    Fantasia per piano, coro e orchestra, op. 80 (1808)
o    La vittoria di Wellington, op. 91, in Mi bemolle Maggiore (1813)
•    Concerti per pianoforte e orchestra 
o    Concerto n. 1 in Do maggiore, op. 15 (1798)
o    Concerto n. 2 in Si bemolle maggiore, op. 19 (1795)
o    Concerto n. 3 in do minore, op. 37 (1802)
o    Concerto n. 4 in Sol maggiore, op. 58 (1806)
o    Concerto n. 5 in Mi bemolle maggiore, op. 73 "Imperatore" (1809)
•    Altri concerti 
o    Triplo concerto per pianoforte, violino, violoncello e orchestra in Do maggiore, op. 56 (1804)
o    Concerto per violino e orchestra in Re maggiore, op. 61 (1806)
Musica per pianoforte
Sonate 
Beethoven fu uno dei più importanti compositori per il pianoforte; al di là della qualità delle sue sonate, la sua scrittura prende origine dai modelli mozartiani e haydniani per poi elaborare una forma originale di grande libertà creativa. Il compositore s'interessò attentamente, nel corso della sua esistenza, a tutti gli sviluppi tecnici dello strumento al fine di sfruttarne tutte le possibilità.
Beethoven ha pubblicato 32 sonate per pianoforte, ma a queste bisogna aggiungere le 3 sonate WoO 47, composte probabilmente nel 1783 e dette "Sonate all'Elettore" (Kurfürstensonaten) in quanto sono dedicate al Principe-Elettore Maximilian Friedrich von Königsegg-Rothenfels. Per quanto riguarda le 32 sonate con numero di Opus, la loro composizione avviene nel lasso di una ventina d'anni. Questo insieme testimonia, in modo più evidente rispetto alle sinfonie, l'evoluzione dello stile del compositore nel corso degli anni. Le sonate, che inizialmente ricalcano fedelmente la forma classica, se ne affrancano poco a poco; gradualmente le composizioni guadagnano sempre più libertà di scrittura e diventano sempre più complesse. Si possono citare fra le più celebri l' Appassionata e la Waldstein (1804) o Gli Addii (1810). Nella celebre Hammerklavier (1819), lunghezza e difficoltà tecniche raggiungono livelli del tutto inusitati. Essa fa parte delle cinque ultime sonate, nelle quali l'Autore utilizza come ultimo movimento forme più tipiche del quartetto d'archi che della sonata per piano: la fuga (finale opp. 101, 106 e 110) e la variazione (finale opp. 109 e 111): in questi ultimi due brani, in particolare, al dinamismo tipico del periodo "eroico" subentra una calma estatica e apparentemente atemporale.
•    Tre Sonate op. 2 (n. 1 in fa minore, n. 2 in La maggiore, n. 3 in Do maggiore) (1795)
•    Sonata n. 4 in Mi bemolle Maggiore, op. 7 (1797)
•    Tre Sonate op. 10 (n. 5 in do minore op. 10,1, n. 6 in Fa maggiore op.10,2, n. 7 in Re maggiore op. 10,3) (1798)
•    Sonata n. 8 in do minore op. 13 "Patetica" (1799)
•    Due sonate op. 14 (n. 9 in Mi maggiore op. 14, 1, n. 10 in Sol maggiore op. 14,2 (1799)
•    Sonata n. 11 in Si bemolle maggiore op. 22 (1800)
•    Sonata n. 12 in La bemolle maggiore op. 26 (1801)[59]
•    Due sonate op. 27 (n. 13 in Mi bemolle maggiore op. 27, 1[60], n. 14 in do diesis minore op. 27,2 "Chiaro di luna"[60]) (1801)
•    Sonata n. 15 in Re maggiore op. 28 "Pastorale"[61] (1801)
•    Tre sonate op. 31 (n. 16 in Sol maggiore op. 31,1, n. 17 in re minore op. 31,2 "la Tempesta", n. 18 op.31,3 in Mi bemolle maggiore "la caccia" (1802)
•    Due sonate[62] op. 49 (n. 19 in sol minore op. 49,1, n. 20 in Sol maggiore op. 49,2 (1798)
•    Sonata n. 21 in Do maggiore op. 53 "Aurora" (1803)
•    Sonata n. 22 in Fa maggiore op. 54 (1804)
•    Sonata n. 23 in fa minore op. 57 "Appassionata" (1805)
•    Sonata n. 24 in Fa diesis maggiore op. 78 (1809)
•    Sonata n. 25 in Sol maggiore op. 79 (1808)
•    Sonata n. 26 in Mi bemolle maggiore op. 81a "gli Addii" (1810)
•    Sonata n. 27 in mi minore op. 90 (1814)
•    Sonata n. 28 in La maggiore op. 101 (1816)
•    Sonata n. 29 in Si bemolle maggiore op. 106 "Hammerklavier" (1818)
•    Sonata n. 30 in Mi maggiore op. 109 (1820)
•    Sonata n. 31 in La bemolle maggiore op. 110 (1821)
•    Sonata n. 32 in do minore op. 111 (1822)
Variazioni 
Beethoven scrisse 8 serie di variazioni per pianoforte di varia importanza, di cui 4 furono pubblicate: 6 Variazioni su di un tema originale in fa maggiore Op.34 (Variazioni su Le rovine di Atene), le 15 Variazioni e Fuga sul tema di un movimento dell'Eroica in mi bemolle maggiore, Op. 35, le 6 Variazioni su di un tema originale in re maggiore Op. 76 e le Variazioni Diabelli. Nel 1822, l'editore e compositore Anton Diabelli ebbe l'idea di pubblicare una raccolta di variazioni di alcuni dei compositori maggiori della sua epoca intorno ad un tema musicale di sua composizione. Beethoven, che non aveva scritto per piano da tempo, sollecitato, stette al gioco, e invece di scrivere una variazione, ne scrisse 33, che furono pubblicate in un fascicolo a parte ed oggi sono conosciute come Variazioni Diabelli.
•    Nove variazioni su una marcia di Ernst Christoph Dressler, WoO 63 (1782)
•    6 Variazioni, in fa maggiore, per pianoforte od arpa su un canto svizzero, WoO 64 (1793)
•    24 Variazioni, in re maggiore, per pianoforte sul tema "Venni Amore" di Vincenzo Righini WoO 65
•    13 Variazioni, in la maggiore, per pianoforte sul tema "Es war einmal ein alter Mann" di Ditters von Dittersdorf WoO 66
•    12 Variazioni, in do maggiore, per pianoforte sul tema del "Menuett à la Vigano" di J. Haibel WoO 68
•    9 Variazioni, in la maggiore, sul duetto "Quant'è bello" di Giovanni Paisiello WoO 69
•    6 Variazioni, in sol maggiore, sul duetto "Nel cor più non mi sento" dall'opera La Molinara di Giovanni Paisiello (1795)
•    12 Variazioni, in la maggiore, su una danza russa di Paul Wranitzky WoO 71
•    8 Variazioni, in do maggiore, sul tema de "Une fièvre brûlante" di André Grétry WoO 72
•    10 Variazioni, in si bemolle maggiore, sul tema de "La stessa, la stessissima " di Antonio Salieri WoO 73
•    7 Variazioni, in fa maggiore, sul tema "Kind willst du ruhig schlafen" di Peter Winter WoO 75
•    8 Variazioni, in fa maggiore, sul tema "Tandeln und Scherzen" di Franz Süssmayr WoO 76
•    6 Variazioni, in si minore, su tema originale WoO 77
•    6 Variazioni sopra un tema originale in fa maggiore op. 34 (1802)
•    15 Variazioni e una fuga in mi bemolle maggiore op. 35 «Eroica» (1802)
•    7 Variazioni sopra God save the King in do maggiore WoO 78 (1803)
•    5 Variazioni sopra Rule, Britannia! in re maggiore WoO 79 (1803)
•    Variazioni in mi bemolle maggiore (Beethoven)|Variazioni in mi bemolle maggiore Op. 44 (1804)
•    32 Variazioni sopra un tema originale in do minore WoO 80 (1806)
•    6 Variazioni, in re maggiore, su tema originale Op. 76
•    9 Variazioni, in mi bemolle maggiore, sulla marcia di Ernst Christoph Dressler Anhang
•    33 variazioni sopra un valzer di Diabelli in do maggiore op. 120 (1823)
•    8 Variazioni, in si bemolle maggiore, sul tema "Ich hab' ein Kleines nur" Anhang 10
Bagatelle 
•    Sette bagatelle, op. 33 (1802)
•    Bagatella «Per Elisa», in La minore, WoO 59 (1810)
•    Undici bagatelle, op. 119 (1822)
•    Sei bagatelle, op. 126 (1824)
Musica da camera [modifica]
Quartetti per archi 
Il quartetto d'archi era stato reso popolare da Boccherini, Haydn e infine Mozart, ma è Beethoven il primo a farne un uso estensivo[non chiaro]. Template:Nc.
•    Sei quartetti per archi op. 18 (in Fa maggiore, Sol maggiore, Re maggiore, Do minore, La maggiore, Si bemolle maggiore) (1798-1800)
•    Quartetti per archi n. 7 - 9, Op. 59 - Rasumovsky (in Fa maggiore, Mi minore, Do maggiore) (1806)
•    Quartetto per archi in Mi bemolle maggiore op. 74 "delle Arpe" (1809)
•    Quartetto per archi in Fa minore op. 95 "Serioso" (1810)
•    Quartetto per archi in Mi bemolle maggiore op. 127 (1824)
•    Quartetto per archi in Si bemolle maggiore op. 130 (1825)
•    Quartetto per archi in Do diesis minore op. 131 (1826)
•    Quartetto per archi in La minore op. 132 (1825)
•    Quartetto per archi in Fa maggiore op. 135 (1826)
•    Grande fuga in Si bemolle maggiore op. 133 (1825)
Sonate per violino e pianoforte 
A fianco dei quartetti, Beethoven scrisse delle sonate per violino e pianoforte, le prime delle quali sono retaggio immediato di Mozart, mentre le ultime se ne discostano per apparire in puro stile beethoveniano: specialmente la Sonata a Kreutzer, quasi un concerto per pianoforte e violino. L'ultima sonata della serie (la Sonata per violino n. 10) riveste un carattere più introspettivo delle precedenti, prefigurando in questo senso gli ultimi quartetti d'archi.
•    Tre sonate op. 12 (in Re maggiore, La maggiore e Mi bemolle maggiore) (1798)
•    Sonata in La minore op. 23 (1801)
•    Sonata in Fa maggiore op. 24 "la Primavera" (1801)
•    Tre sonate op. 30 (In La maggiore, Do minore e Sol maggiore) (1802)
•    Sonata in La maggiore op. 47 "A Kreutzer" (1803)
•    Sonata in Sol maggiore op. 96 (1812)
Sonate per violoncello e pianoforte 
•    Due sonate op. 5 (in Fa maggiore e sol minore) (1796)
•    Sonata in La maggiore op. 69 (1808)
•    Due sonate op. 102 (in Do maggiore e Re maggiore) (1815)
Trii per pianoforte, violino e violoncello 
•    Tre trii op. 1 (in Mi bemolle maggiore, in Sol maggiore e Do minore) (1794)
•    Trio per clarinetto (o violino, violoncello e pianoforte in Si bemolle maggiore op. 11 (1798)
•    Due trii op. 70 (in Re maggiore "degli Spettri" e in Mi bemolle maggiore) (1808)
•    Trio in Si bemolle maggiore op. 97 "Arciduca" (1811)
Opere diverse 
•    Trio d'archi in Mi bemolle maggiore op. 3 (1792)
•    Tre trii d'archi op. 9 (in Sol maggiore, Re maggiore e Do minore) (1798)
•    Quintetto d'archi in Mi bemolle maggiore op. 4 (1796)
•    Quintetto d'archi in Do maggiore op. 29 (1801)
•    Quintetto d'archi in Do minore op. 104 (1817)
•    Sonata per corno e pianoforte in Fa maggiore op. 17 (1800)
•    Settimino per clarinetto, corno, fagotto, violino, viola, violoncello e contrabbasso in Mi bemolle maggiore op. 20 (1800)
Musica vocale 
•    Opere
Beethoven sarà poi l'autore di un'unica opera, Fidelio, opera alla quale terrà di più, e certamente quella che gli è costata più sforzi. In effetti quest'opera è costruita sulla base di un primo tentativo che ha per titolo Leonore, opera che non ha riscosso molto successo nel pubblico. Ne rimangono comunque le tre versioni d'ouverture di Leonore, essendo spesso la terza interpretata prima del finale di Fidelio.
•    
o    Fidelio, op. 72 (1805-1814)
•    Musica sacra 
o    Cristo sul Monte degli Ulivi, oratorio, op. 85 (1801)
o    Messa in do maggiore, op. 86 (1807)
o    Missa Solemnis, in re maggiore, op. 123 (1818-1822)
•    Melodie 
o    Adelaide, op. 46 (1796)
o    Sei Lieder su poesie di Goethe, op. 75 (1809)
o    Tre lieder su poesie di Goethe, op. 83 (1810)
o    A la speranza, lied, op. 94 (1813)
o    A l'adorata lontana, ciclo di Lieder, op. 98 (1816)
Beethoven nei media 
Beethoven e il cinema 
La filmografia su Ludwig van Beethoven si può agevolmente dividere in due parti distinte. La prima riguarda le colonne sonore dei film nelle quali sono state utilizzate musiche del compositore, la seconda riguarda il personaggio di Beethoven e la sua vita (o parti di essa) trasposta più o meno fedelmente.
Per quanto riguarda le colonne sonore, sono oltre 270 le pellicole che hanno utilizzato la sua musica. L'esempio più celebre con ogni probabilità lo si trova in Arancia meccanica di Stanley Kubrick (1971) dove Alex De Large, il protagonista, violento e asociale e grande appassionato di Beethoven (finisce ogni serata con l'ascolto del secondo movimento della Nona Sinfonia) viene sottoposto alla "Cura Ludovico", ossia la visione ininterrotta di filmati raffiguranti scene raccapriccianti e violente, attraverso le quali, tramite un condizionamento chimico, il protagonista riuscirà a trasformarsi, provando disgusto per la violenza. Uno dei filmati, che rappresenta un campo di concentramento, porta come accompagnamento musicale il quarto movimento della Nona Sinfonia (l'Inno alla Gioia) che in seguito non riuscirà più ad ascoltare. Lo stesso pezzo si può sentire in una scena di Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, quando il guardiano del cimitero di Buffalora Francesco Dellamorte (Rupert Everett) spara verso un gruppo di ragazzi.
Un altro celebre esempio lo si trova nel film d'animazione Fantasia (1940) di Walt Disney dove viene utilizzata la Sinfonia n. 6 "Pastorale" per rappresentare un'idilliaca scena mitologica. Inoltre, nel film per famiglie di grande successo Beethoven (1992) di Brian Levant il protagonista, un cane di razza San Bernardo adottato da una famiglia statunitense e al centro di numerose avventure, viene chiamato con il cognome del compositore. Dopo la scelta del nome, partono le prime note della Quinta Sinfonia con un'immagine di Beethoven sullo sfondo.
Alcuni altri esempi di colonne sonore sono:
•    Elephant (Gus van Sant, Palma d'oro a Cannes nel 2003) è una pellicola composta da pochi dialoghi con soltanto due pezzi come accompagnamento sonoro, Per Elisa e Sonata al chiaro di luna;
•    Equilibrium di Kurt Wimmer che utilizza il primo movimento delle nove sinfonie di Beethoven che hanno lo scopo di trasmettere un'emozione forte visto che la pellicola è basata su un'assenza di emozioni;
•    in V per Vendetta dei fratelli Wachowski, si può notare il primo movimento della Quinta sinfonia di Beethoven ad un momento della pellicola.
•    Nell'episodio 24 di Neon Genesis Evangelion, intitolato L'ultimo messaggero sacrificale, è possibile udire la corale della Nona sinfonia.
•    Nel film La febbre del sabato sera viene proposta una rielaborazione in stile disco della Quinta sinfonia.
La vita di Beethoven ha ispirato una trentina di film a partire dal periodo muto (dal 1918): tra questi sono da citare:
•    Un grand amour de Beethoven, film francese diretto da Abel Gance (1936) ;
•    Eroica, film austriaco del 1949 diretto da Walter Kolm-Veltée, con Ewald Balser nella parte del compositore ;
•    Sinfonia del destino, diretto da Georg Dressler nel 1962;
•    Beethoven lives upstairs, diretto da Barbara Nichol e Scott Cameron nel 1989;
•    Rossini! Rossini!, diretto da Mario Monicelli nel 1990, parte che in seguito sarà tagliata nel montaggio definitivo;
•    Immortal Beloved, distribuito in Italia con il titolo Amata immortale e in Francia con il titolo Ludwig van B. diretto da Bernard Rose nel 1994;
•    Musikanten, diretto da Franco Battiato nel 2005, dove il compositore è interpretato dal regista Alejandro Jodorowsky;
•    Io e Beethoven, diretto da Agnieszka Holland nel 2006 e distribuito in Italia con il titolo Io e Beethoven, storia del compositore (Ed Harris) e della sua passione amorosa per la sua assistente copista Anna Holtz (Diane Kruger).
•    Lezione Ventuno, film del 2008 diretto da Alessandro Baricco, nel quale viene messa in discussione l'artisticità della nona sinfonia.
Bibliografia 
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Vol. II, (1808 – 1813), Milano 2000, ISBN 88-8118-609-8
Vol. III, (1814 – 1816), Milano 2001, ISBN 88-8118-907-0
Vol. IV, (1817 – 1822), Milano 2002, ISBN 88-8491-292-X
Vol. V, (1823 – 1824), Milano 1999, ISBN 88-8491-501-5
Vol. VI, (1825 - 1827), Milano 2007, ISBN 88-8491-969-X
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•    Benedetta Saglietti, Beethoven, ritratti e immagini. Uno studio sull'iconografia, EDT-De Sono, Torino, 2010, ISBN 88-6040-362-6
Filmografia 
•    Amata immortale, film del 1994 diretto da Bernard Rose, basato sulla vita del compositore e pianista tedesco.
•    Io e Beethoven, film del 2006 diretto da Agnieszka Holland, che racconta in modo romanzato gli ultimi anni di vita del compositore tedesco, dal 1824 al 1827.
•    Lezione ventuno, film del 2008, scritto e diretto da Alessandro Baricco, al suo esordio nella regia cinematografica, che parla della famosa nona sinfonia.

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